I numeri della vittoria del centrodestra in Umbria non dicono tutto sulla portata della sconfitta del centrosinistra e della maggioranza giallorossa che il voto di ieri ha messo sottoschiaffo.
Le cose per Cinquestelle e Partito Democratico sono andate malissimo. Molto peggio di quanto una vigilia tesa ma carica di aspettative poteva lasciar pensare.
Gli elettori, con uno scarto di venti punti a favore dello schieramento guidato dalla Lega di Matteo Salvini ben salda oltre il 37 per cento, con quindici punti di vantaggio sul Pd di Zingaretti, fermo al 22% e ben trenta sullo schieramento grillino, collassato al 7,4%, hanno bocciato, non tanto il candidato Bianconi ma la coalizione di governo voluta da Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti.
Ma cosa dice un’attenta analisi di un voto che Salvini ha ragione a definire “storico”?
Aldilà delle battute e delle considerazioni che tutti i leader hanno espresso e su cui torneremo dopo, il quadro degli umori degli elettori si è appalesato con giudizi inappellabili per i partiti di centrosinistra e per aperture notevoli nei confronti del centrodestra ora proiettato a mettere a rendita la messe di voti ottenuta. Un’azione che marcia in una doppia direzione: quella delle prossime regionali in Calabria ed Emilia Romagna e, ovviamente verso l’obiettivo più strategico, quello della permanenza o meno di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.
Prima considerazione. Gli elettori umbri sono tornati a votare in massa facendo registrare, alla fine della consultazione un 9% in più di presenze rispetto alle elezioni precedenti. Dopo anni di defezioni per stanchezza e mancanza di fiducia in partiti ed istituzioni, ieri per la prima volta, in controtendenza rispetto al passato, la gente ha deciso di tornare a dire la sua. Con forza e determinazione visto che ha premiato Salvini ovvero l’uomo, che dopo l’autogol clamoroso di agosto, ha saputo essere più convincente di tutti e riprendere quota con una campagna elettorale, ventre a terra, che ha portato i suoi frutti.
Seconda considerazione. Il voto, con il passare delle ore, si rileva sempre più devastante per la compagine di governo. Di Maio, dopo lo sbandamento seguito alla batosta che si delineava dopo le prime proiezioni, a freddo, fa sapere “che l’alleanza con il Pd non funziona. Avanti ma migliorare…”. Cosa non si sa, ma Zingaretti intanto si accoda: “Comune sentire o traiamo le conseguenze”.
Da Renzi il guastatore, il fuggiasco totalmente assente sul fronte umbro, arriva poi il pesante carico da undici contro Conte e i due “alleati”: “Sconfitta frutto di un’alleanza sbagliata”. Come dire, vi aspetto in Parlamento. Per mandarvi a casa e riaprire i giochi appena possibile.
Terza considerazione. E questa riguarda la vita stessa del governo. Conte, secondo indiscrezioni provenienti dal suo entourage, è preoccupato, perché il voto umbro potrebbe trasformarsi molto presto in un preavviso di sfratto. Ma in pubblico ostenta sicurezza. “Il voto non incide sul governo” e in un’intervista ad un giornale romano aggiunge: “a me non c’è alternativa”.
Un messaggio che ha il sapore dell’arroganza di chi non vuol far vedere che è sull’orlo di un baratro.
Ma è forse questo l’errore che potrebbe rivelarsi fatale per un esecutivo ed una maggioranza che vogliono sopravvivere a dispetto del giudizio degli elettori.
Insistere come fanno Di Maio, ostaggio di un partito in rivolta e di padrini che ancora non vogliono prendere atto della gravità della situazione per un Movimento nato sulla contestazione al sistema ed oggi arroccato in maniera imbarazzante nelle stanze del potere, e Zingaretti, diventato un noioso notaio, pronto a stilare l’atto di morte per un partito dilaniato da scissioni, separazioni in casa, fuoriusciti e abbandoni continui, è diventato un gioco al massacro che il voto non potrà che accentuare.
Con quali sbocchi? Buonsenso vorrebbe che il presidente della Repubblica Mattarella, nel prendere atto della situazione, cominciasse a prevedere uno sganciamento dal Conte bis e provasse a lavorare per nuove elezioni da tenersi ai primi del nuovo anno, dopo l’approvazione della legge di bilancio.
Mattarella infine non può ignorare il fallimento di un governo litigioso oltremisura, per di più gestito da un premier sul cui capo pendono accuse gravissime, di conflitto di interessi ed addirittura di intelligenza con i servizi segreti di un Paese alleato come gli Usa ma pur sempre una nazione straniera guidata da un presidente cowboy, Donald Trump, tanto brutale quanto micidiale nel tutelare gli interessi del proprio Paese a danno di tutti.
Le novità sulla tenuta del governo comunque non dovrebbero tardare. E le prime indicazioni verranno domani dal vertice di una maggioranza acciaccata e confusa che dovrà decidere cosa fare.
Adesso si tratta solo di capire quali scenari può aprire un dopo voto mai così amaro e carico di rischi per una sinistra molto vicina ad una crisi di nervi, che dalla scorsa estate sembrava pronta a scatenarsi per un Salvini demonizzato a sproposito, ma che l’appuntamento in Umbria ha rivelato più vitale e robusto che mai.
Enzo Cirillo
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