Sergio Romero: due rigori parati e Argentina al Maracanà
Sarà Germania-Argentina, quindi, la finale di Brasile 2014 domenica nel tempio del Maracanà. Una sorta di “bella” dopo le due finali consecutive di Messico ’86 e Italia ’90 terminate con una vittoria per parte. Sarà anche la finale più volte andata in scena in un Mondiale. Staccata Brasile-Italia. Rimane ancora viva la possibilità del Sudamerica di mantenere la tradizione che non vuole nazionali europee sul trono iridato in un paese latinoamericano. L’Olanda conferma che quella con la Costa Rica è stata l’eccezione: la regola è che per gli arancioni la lotteria dei rigori rimane disco rosso. Questo è quanto ci consegna la seconda semifinale, Argentina-Olanda, una delle più brutte e soporifere che si ricordi.
Tutta la felicità di Sergio Germàn Romero: due rigori parati
Zero reti, tiri in porta che si contano sulle dita di una mano, tra ambedue le contendenti, e in 120 minuti di gioco, caratterizzati dalla paura di prestare il fianco alle ripartenze altrui. Logica conseguenza di questo atteggiamento eccessivamente guardingo, i calci di rigore. Dove a ergersi inatteso protagonista assoluto è stato il portiere dell’Albiceleste, Sergio Germàn Romero, appena rientrato alla Sampdoria, di ritorno dal prestito al Monaco di Claudio Ranieri dopo che nel Principato, nell’intera stagione 2013/14, aveva collezionato la miseria di tre presenze. Il più improbabile degli eroi, vista la tanta qualità in campo ma, si sa, dagli undici metri tanti fuoriclasse celebrati hanno fatto cilecca in un Mondiale (Platini, Zico, Sòcrates, Roberto Baggio, tanto per fare qualche nome illustre) e i riflettori si accendono spesso sui portieri. Romero come Goycoechea a Italia ’90, dunque. Anch’egli eroe per un’estate. E Sneijder come i suoi rinomati colleghi, imprecisi dal dischetto.
Il rigore parato a Wesley Sneijder
Argentina-Olanda inizia con qualche novità: Van Gaal riesce a recuperare De Jong per il quale il Mondiale sembrava giunto al capolinea e lo piazza in mediana. Ma il milanista non è ancora in condizione. E si vede. Come non sarebbe in grado di scendere in campo Robin Van Persie, colpito come altri compagni, da disturbi intestinali alla vigilia. Ma in campo c’è anche lui. Troppo importante per Van Gaal esibire il totem dell’attacco arancione nella speranza che possa fungere almeno da spaventapasseri per la difesa argentina. “Van Persie è il mio capitano“, aveva detto Van Gaal a chi gli chiedeva se fosse opportuno schierare dall’inizio un giocatore non al meglio e in calo verticale di forma, dopo due prime partite, con Spagna e Australia, da fenomeno. I due condivideranno presto anche l’esperienza in squadre di club, visto che il Ct oranje sarà il prossimo inquilino della panchina del Manchester United. Chissà, la circostanza potrebbe aver inciso. Fatto sta che, non solo a posteriori, si è trattato di un errore evidente. La punta dello United non la vedrà mai e Van Gaal lo dovrà sostituire, per disperazione, nei supplementari, privandosi della possibilità di giocare la carta-Krul ai rigori. Una scelta che un peso lo avrebbe avuto.
Van Persie-Messi, un duello che non c’è stato: ambedue impalpabili
Ma il vero problema in casa orange è l’assoluta povertà tecnica e ideativa di un centrocampo tutto muscoli dove il solo Sneijder avrebbe i numeri per provare a innescare il fantasma Van Persie o le accelerazioni brucianti di Arjen Robben. Ma l’ex interista si limiterà ad un tiro senza pretese nei minuti iniziali (peraltro, l’unico dell’Olanda nei primi 45′), qualche appoggio elementare in orizzontale, e un paio di punizioni sbilenche. Insomma, non era la sua serata. L’unico schema olandese è il lancio lungo dalle retrovie (una zona del campo dove i piedi più educati li ha…il portiere, Cillessen) o l’appoggio a Kuyt, formidabile sgobbone tuttofare (in un tempo glorioso anche la punta, al Feyenoord e al Liverpool) ma che non mette un cross che è uno. Di fronte a cotanta pochezza, ovvio che persino il lentissimo centrocampo argentino, pur senza strafare (anzi..) sembri un reparto da finale con un Mascherano monumentale per impegno, grinta, raddoppi in difesa (un suo intervento su Robben consentirà all’Argentina di passare indenne i tempi regolamentari), palloni rubati, botte prese (qualche minuto a terra, stordito), resurrezioni ma dall’impostazione del gioco un pò scolastica e tendente a non sbagliare più che a creare. Tant’è. Diversamente avremmo già una robusta ipoteca sul Pallone d’Oro. Biglia è un buon uomo d’ordine ma oltre a smistare bene la palla non gli può onestamente chiedere. Pèrez, il sostituto di Di Marìa (quanto mancano le sue volate…), fa rimpiangere il collega assente ma qualcosa combina. Per esempio, si guadagna una punizione dal limite che un Messi in giornata trasformerebbe in moneta sonante. Ma non è serata neppure per la “pulce” e la sua conclusione, telefonata, si spegne tra le braccia di Cillessen. Questo l’unico tiro in porta argentino nel primo tempo. Il più pericoloso risulta essere così il “pocho” Lavezzi. Quando lo trovano, lui sprinta e, nell’uno contro uno, fa venire i sudori freddi alla lenta e compassata difesa arancione. Dove, comunque, un Vlaar impeccabile tiene in piedi una baracca traballante. Da solo. De Vrij e, soprattutto, Martins Indi si confermano difensori inadeguati per simili palcoscenici. Un vero mistero che Vlaar sverni ancora in una formazione così modesta come l’Aston Villa attuale. Higuaìn la vede poco ma si muove bene. Il gol-partita con il Belgio lo ha rigenerato: è vivo, tiene impegnata la difesa solo con i suoi movimenti ad elastico, ma i compagni lo cercano veramente troppo poco. Ma anche il “pipita” chiuderà anzitempo la sua semifinale.
Arjen Robben: stavolta non ha fatto la differenza
Il secondo tempo si apre con un’idea intelligente di Van Gaal che, temendo il secondo giallo per un Martins Indi in palese imbarazzo, inserisce il ben più aggressivo Janmaat, abbassando Blind al centro della difesa. Ma la manovra rimane stantia e di palloni puliti per le punte neppure l’ombra. L’Argentina, dopo qualche impasse iniziale, comincia a provarci con un pò più di convinzione: è Higuaìn il terminale privilegiato in questa fase, ma un suo colpo di testa che avrebbe meritato miglior sorte, viene “murato” da Janmaat e poi un suo esterno destro prende l’esterno della rete. Azione, comunque, invalidata per fuorigioco. Inesistente. I due tecnici iniziano la girandola di cambi: esce uno stremato De Jong per far posto all’interessante Clasie e, tra i sudamericani, Sabella toglie Pèrez per Palacio e Higuaìn per Aguero. Poi sarà la volta, nei supplementari, dell’esperienza di Maxi Rodriguez in luogo di un Lavezzi, completamente eclissatosi nella ripresa. Ma i supplementari rischiano di non esserci perchè, proprio in chiusura dei 90′, Sneijder ha l’unica intuizione felice della sua altrimenti incolore partita, e mette con un tocco morbido Robben in condizione di incunearsi nell’area albiceleste. La freccia olandese innesta la marcia superiore ma ha il torto di ritardare la conclusione a botta sicura di quel tanto da consentire a Mascherano un recupero provvidenziale.
Nei supplementari, come detto, Van Gaal deve arrendersi all’evidenza di un Van Persie nullo ed è costretto a rinunciare a Krul per i rigori: entra Huntelaar, ma non farà granchè. Le uniche due occasioni nitide nell’extra time le avrà l’Argentina, con Palacio che, innescato dall’unico erroraccio di una difesa olandese impeccabile dal secondo tempo in poi, tenta un improbabile lob di testa che fa il solletico a Cillessen, poi Maxi Rodriguez, servito da un cross di Messi che piazza l’unica accelerazione dell’intera partita, costringe il portierone oranje ad un secondo intervento, anche questo non impossibile.
Tutti ad abbracciare Romero
Rigori: gli argentini sono infallibili, gli olandesi ne sbagliano ben due. Romero neutralizza le esecuzioni di Vlaar e di Sneijder. E dispiace soprattutto per Ron Vlaar, il migliore in campo con Mascherano. Di Maxi Rodriguez il rigore dell’apoteosi albiceleste. Il modo migliore per onorare la memoria del grande Alfredo Di Stefano, ricordato con il lutto al braccio e un minuto di silenzio.
I tifosi dell’Albiceleste, sempre numerosissimi
Ora Germania-Argentina. Certo, i sudamericani giocheranno al Maracanà con l’handicap di un giorno in meno di riposo e trenta minuti in più nelle gambe, mentre i tedeschi contro il Brasile hanno sostenuto un allenamento neppure troppo agonistico. E si tratta di una nazionale che già ha dimostrato di avere riserve di energie illimitate. Ma un Messi così evanescente come quello in campo con l’Olanda è difficile si riveda e l’Argentina, pur con un sistema di gioco molto basico, ha dimostrato che sa far giocare male chiunque. Anche il temuto effetto “tifo contro” dei brasiliani è stato, di fatto,azzerato. I fischi dei locali ci sono e si sentono. Ma gli argentini sono sempre in netta maggioranza ovunque si giochi. Da verificare, poi, se i sanitari riusciranno nell’impresa di rendere disponibile Angel Di Marìa. Con “el kun” Aguero, un altro che sembrava dover fare le valige anzitempo, ce l’hanno fatta. E l’esterno del Real è tipo in grado di spaccare in due un match. Infine, dato non trascurabile, il reparto dell’Albiceleste considerato più fragile, la difesa, non ha subito lo straccio di una rete nelle tre partite ad eliminazione diretta. Cioè quando il gioco si è fatto serio. E duro. Specialità da “gringos”.
Un Van Gaal deluso: il sogno Mondiale resta tale
Per l’Olanda forse meno olandese di sempre, prosegue la nemesi Mondiale e quella legata ai calci di rigore. Fino alla semifinale con l’Argentina, per la verità, il bilancio orange nelle lotterie recitava un onesto ed accettabile 1-1 in termini di qualificazioni ottenute e perse: gli era andata bene con la Costa Rica qui, male con il Brasile nella semifinale di Francia ’98. Ma se si va a guardare i precedenti degli arancioni agli Europei, la statistica diventa addirittura avvilente: semifinale con la Danimarca in Svezia ’92, quarti di finale con la Francia a Inghilterra ’96, semifinale con l’Italia (il giorno di Toldo) in casa nel 2000. Tutte eliminazioni. In questo Mondiale brasiliano, comunque, va detto che gli arancioni sono partiti in tromba con il sonante 5-1 ai campioni in carica della Spagna, ma poi hanno vinto faticando con l’Australia (3-2, ma recuperando da 1-2), il Cile (un 2-0 maturato solo nei minuti finali e dopo una partita giocata in avanti dai soli andini), visto le streghe con il Messico negli ottavi (all’88’ il Mondiale oranje era concluso, poi la rimonta con il rigore del 2-1 al 94′) e costretti ai rigori dalla Costa Rica, incapaci di scardinarne il bunker. Un Mondiale in calando. Come quello di Robin Van Persie.
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