Ai giudici che, fresco pentito, lo interrogavano per sapere il più possibile sul suo ruolo all’interno della cupola che reggeva le sorti della Mafia, Giovanni Brusca ad una domanda specifica sui morti ammazzati che altri pentiti gli attribuivano rispondeva candidamente: “Non lo so, non ricordo i nomi di quelli che ho ucciso”. La indagini, soprattutto di Falcone e Borsellino, stabilirono che quei poveracci erano l’equivalente di un’intera compagnia: più di cento. Una cifra record anche per un mafioso eccellente come lui.
Ma quel che è peggio e che nel conteggio di quelle cento vittime alla fine sarebbero finiti proprio i due magistrati eroi antimafia, saltati in aria a Capaci e via D’Amelio, insieme alle loro scorte, e soprattutto il piccolo Giuseppe Di Matteo che aveva l’unica colpa di essere figlio di un pentito.
Ma di quell’omicidio aveva colpito soprattutto l’efferatezza, perché come si scoprì successivamente il bambino era stato strangolato e sciolto nell’acido.
Di questo doveva rispondete e pagare il boss per il quale nelle scorse settimane il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Rao che a distanza di 23 anni dal suo arresto aveva presentato alla Corte di Cassazione istanza per far finire ai domiciliari la propria condanna ridotta all’epoca del processo a 26 anni per il ruolo decisivo e molto importante svolto, grazie alle sue delazioni, nei confronti di Cosa Nostra.
Ma perché il responsabile della procura nazionale antimafia ha chiesto ai supremi giudici i domiciliari per il super pentito? La risposta è nella richiesta inoltrata ai colleghi della Cassazione:
«Si è macchiato dei peggiori crimini, ma rispetto ai quali si è ravveduto in processo, arrivando anche a rendere un contributo straordinario nelle indagini di mafia»
Ma questa motivazione e alcuni comportamenti giudicati da molti, magistrati compresi, ambigui secondo qualcuno anche opportunistici, non ha convinto soprattutto le persone più colpite dalla sua feroci. Dalla famiglia Chinnici, alla sorella del giudice Falcone che ha avanzato “pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento”, alle mogli e ai parenti di agenti di scorta dei due giudici assassinati a Palermo, è partito un muro di ‘no’ che non può aver lasciato indifferenti i giudici della Suprema Corte. Per Brusca ora la prospettiva è di restare in carcere ancora del tempo, visto che la condanna si estinguerà per lui soltanto nel 2022.
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