Non c’è più Marquinhos. Al suo posto Benatia. E’ andato via Lamela. Ora, guizzi e fantasia li mette Ljajic (oltre a Totti, s’intende). Non c’è più il peso in attacco di Osvaldo. Via alle scorribande di Gervinho. Non più Stekelenburg a difendere i pali per far posto all’esperienza di De Sanctis. E’ una Roma diversa quella che sta dominando il campionato? Diversa, certamente sì. Ma realmente più forte? Qui la risposta si fa più articolata. Volendo sbizzarrirsi nel vecchio gioco delle figurine, non si direbbe. Salvo che per il ruolo del portiere (dove, comunque, l’olandesone si è preso fischi e lazzi ben superiori ai propri effettivi demeriti), i nuovi arrivati, presi uno per uno, non sembrano, salvo smentite, superiori ai loro predecessori. Certo, è da dire che sono arrivati anche Maicon e Strootman, questi sì valore aggiunto e sempre che il brasiliano confermi nel lungo periodo di esser tornato quella furia che avevamo imparato a conoscere all’Inter ma che in Inghilterra giurano esser diventato la sua controfigura pallida. Lamela, però, se non si perde per strada, ha davanti a sé un futuro da primi 5-6 giocatori del mondo nel ruolo. Osvaldo, al netto delle sue bizze, ha dimostrato di avere un fiuto del gol degno dei grandi numeri 9 vecchia maniera e , tanto per rimanere in casa giallorossa, con una media realizzativa persino superiore a quella del conterraneo Batistuta ( liberi di non crederci, ma è proprio così). Marquinhos sta confermando tutte le sue qualità anche al centro della difesa di un Psg, candidato a una Champions da protagonista. I loro sostituti, però, non li stanno facendo rimpiangere. Delle differenze ci sono ma, a questo punto, suonano come dettagli. E gli altri già c’erano. Un anno fa (Zeman e poi Andreazzoli). Due anni fa (Luis Enrique). Nossignori, il vero segreto della Roma non risiede nei singoli ma in un ritrovato collettivo. Nello spirito di gruppo che sembrava aver abbandonato i viali di Trigoria all’indomani della rovinosa caduta interna con la Samp di Cassano e Pazzini che trasformò l’euforia per uno scudetto ormai imminente in un coitus interruptus. Poi, sarebbero arrivati il 26 maggio e i conseguenti veleni. Ma qual è stata la scintilla che ha innescato questa brusca inversione di rotta? La risposta, al momento, sembra avere un nome e un cognome: Rudi Garcia. Ottimo allenatore (se grandissimo, lo scopriremo solo vivendo) ma, soprattutto, persona di buon senso. Un tecnico che non ha pretese di inventare qualcosa di nuovo o di voler stupire a tutti i costi. Un “normalizzatore” che sceglie i migliori, li mette in campo dove devono stare e li valorizza al meglio. Osservare la “resurrezione” di un De Rossi, mortificato da scelte cervellotiche lo volevano riserva di Tachtsidis (neanche malaccio, il greco, in verità, ma troppo pesante la maglia di “Capitan Futuro” per le sue acerbe spalle), sarebbe più che sufficiente per capire quale aria nuova si respiri adesso. Garcia ha il merito indiscutibile di aver instillato nei suoi non solo e non tanto la fame di cui allo slogan della campagna abbonamenti (“Nessuno ha più fame di noi”) ma la gioia di giocare a pallone che, a queste latitudini, era un ricordo pallido. E tanta autostima. Cementata da vittorie in sequenza, vero. E le vittorie aiutano sempre. Ma si costruiscono prima. Con un lavoro che affonda le sue radici in un ritiro estivo mai così tormentato come quello da poco concluso. E’ a Brunico che Garcia ha vinto la sua prima e, fin qui, più importante partita: con la psicologia, prima ancora che con strategia e tattica. Ha convinto i suoi giocatori che bravi lo erano per davvero. Lo erano anche prima. Dovevano solo rendersene conto. Sono finiti gli effetti speciali di “proposte” di asturiana memoria o le suggestioni di una solo vagheggiata “Zemanlandia”. Non c’è più il tiki taka. Non c’è più la difesa altissima. C’è una squadra.
Daniele Puppo
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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