Il primato europeo di vittorie consecutive iniziali rimane di proprietà del Tottenham 1960/61. La striscia della Roma di Garcia si ferma a quota 10. A riuscire nell’impresa di bloccare sul pareggio la capolista è il Torino di Ventura e dell’ex Alessio Cerci, autore di una prestazione maiuscola, oltre che della rete che ha fissato sull’1-1 il confronto dell’Olimpico piemontese. L’esterno d’attacco granata e della nazionale, tutta la trafila nel settore giovanile giallorosso prima di debuttare in A con la prima squadra allenata all’epoca da Fabio Capello e poi un’intera stagione nel 2009/10 agli ordini di Claudio Ranieri che, però, lo vede poco e lo utilizza quasi esclusivamente per il turnover nelle coppe, si è preso una bella rivincita anche se, per rispetto ai colori del cuore, non lo dirà mai. Il migliore in campo in assoluto.
La partita ha avuto uno svolgimento molto frammentato con una Roma che, pur senza fare nulla di trascendentale, ha dato la sensazione di controllare a piacimento gioco, ritmi e punteggio per tutti i primi 45 minuti, di fronte ad un Torino, nominalmente molto offensivo ma, in realtà, timoroso e sfilacciato con tutti i suoi effettivi dietro la linea della palla. Sembrava che fossero i granata a giocare in trasferta. Roma in costante possesso palla e ripartenze toriniste ridotte all’osso e affidate a iniziative individuali destinate a infrangersi sulla “maginot” giallorossa. La Roma non crea molto, è vero ma pare solo aspettare il varco giusto per far male. Il gatto con il topo. E il gatto di Garcia piazza l’unghiata mortifera al 28’ con Strootman, bravo a inserirsi in area e a chiudere di prima su un assist di un ottimo Pjanic, pescato solo soletto dal fischiatissimo ex Balzaretti (certe cose non si perdonano neanche a Torino). Ed è da qui che inizia un’altra gara. Il Toro, pur senza incantare né sotto il profilo tecnico (anzi) né sotto quello tattico (veramente poca cosa), ci mette anima e proverbiale cuore. La Roma commette il peccato imperdonabile di arretrare il baricentro e di non cercare il 2-0 che avrebbe, di fatto, chiuso il match. La chiave, a posteriori, è proprio qui. Il Torino chiude avanti il primo tempo ma i pericoli per De Sanctis sono relativi e tutti provenienti da lontano. L’inizio della ripresa è ancor più di marca granata e, soprattutto, per la prima volta nella stagione, la difesa della Roma va in difficoltà con un Benatia (già ammonito nel primo tempo) molto nervoso e falloso. Ora, pur in modo caotico, il Torino fa paura e De Sanctis è costretto all’intervento prodigioso (il primo dell’anno) su sinistro al volo di rara bellezza di Meggiorini. Sono i prodromi del pareggio che, puntuale, arriva con Cerci al 18’ s.t., bravo a deviare sottoporta un bell’assist dello stesso Meggiorini liberatosi di Benatia, apparentemente in modo falloso (in realtà, è il difensore francese a perdere l’equilibrio e a finire per le terre).
Qui comincia la terza partita con Garcia che toglie un Borriello isolato, stanco e anche un po’ dolorante per un ben più mobile Ljajic. Un po’ per questo, molto per l’atteggiamento della squadra, vogliosa di riprendersi quanto prima il vantaggio, la Roma spinge. E il Toro torna a rintanarsi come e più che nel primo tempo. Le occasioni sono tutte di marca ospite ma saranno i rigori reclamati inutilmente a tener banco di lì al fischio finale. Alla Roma ne manca uno (netto, su Pjanic) e ne vorrebbe un altro (fallo su Maicon ma è fuori area), il Toro aveva protestato, ancora sullo 0-1, per un mani in area di Balzaretti (il tocco c’è, sulla volontarietà si potrebbero aprire tavole rotonde). Un pareggio sostanzialmente giusto ma che lascia l’amaro in bocca. Perché, al di là di singoli episodi, la sensazione che la Roma si sia accontentata di gestire il vantaggio iniziale anziché cercare il pugno del k.o. è forte.
Ora i punti di vantaggio sulla coppia di inseguitrici (Juve e Napoli) si riducono a tre. Ma il prossimo turno potrebbe riservare un nuovo allungo della capolista impregnata in casa contro un Sassuolo che, contrariamente al Chievo di giovedì, ama giocare senza timori reverenziali (magari lasciando anche giocare un po’ troppo gli avversari) ma che non dovrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile, mentre Juve e Napoli si affronteranno in una sfida da “fuori i secondi” allo Juventus Stadium.
In casa Lazio, invece, dopo l’interlocutorio pareggio di Milano, è arrivato un k.o. interno molto difficile da prevedere e da digerire con il Genoa. Doveva essere la partita del rilancio biancoceleste (sarebbe potuto essere il terzo risultato utile consecutivo), invece è stata la certificazione di una crisi ormai evidente a tutti, oltre che la conferma che le “bestie nere” esistono. Per il Genoa è la quinta affermazione consecutiva in campionato contro i capitolini. Lazio brutta, lenta e priva di idee, oltre che di precisione sottoporta (vero, Klose?), ma tutto sommato punita anche oltre i propri demeriti da un’avversaria che, francamente, prima della rete del vantaggio, poco o nulla aveva fatto per impensierire Marchetti. Anche l’arbitraggio ha avuto il suo peso (almeno un rigore per la Lazio c’era, quello su Candreva, e si era ancora sullo 0-0, mentre ci può stare il penalty fischiato agli ospiti per la scompostezza dell’intervento di Ciani, pur essendo il mani del centrale visibilmente involontario), ma non deve suonare come un alibi. I problemi ci sono e in tutti i reparti. La difesa conferma la propria permeabilità, il centrocampo è privo del cambio di passo e di spunti (è mancato all’ultimo anche Hernanes, non che il brasiliano fosse in chissà quale condizione) e l’attacco è troppo legato al solo Klose che, dopo la rete fallita a Milano, ha ribadito che i lampi contro il Cagliari erano una rondine. E la primavera è lontana. Lotito esce tra i fischi assordanti non solo della curva ma anche della, per solito, composta tribuna Monte Mario. Petkovic torna sulla graticola ma, al momento, di cambio non se ne parla. Anche se mettere a tacere le voci che vorrebbero Stramaccioni o il cavallo di ritorno Reja pronti a correre al capezzale del “grande malato” biancoceleste diventa adesso un’operazione complicata. E sa di beffa che il rigore del 2-0 sia stato siglato da un pimpante Gilardino, in predicato di vestire la maglia laziale in estate. Ma si era troppo impegnati ad inseguire Yilmaz. Rimasto puntualmente ad Istanbul.
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