Un intero caricatore di disperata follia, sangue innocente ed una dichiarazione tanto agghiacciante quanto drammatica: “puntavo ai politici”.
E’ stata la mano di un muratore disoccupato calabrese a far ripiombare nel buio e nell’ansia un Paese ancora politicamente frastornato da due mesi di liti e ricatti, ma tutto sommato un po’ sollevato dopo l’intesa tra i partiti che, sabato, avevano deciso di dare il via libera al primo governo del dopo elezioni.
E mentre Enrico Letta e i suoi giovani ministri, al Quirinale, prestavano giuramento nelle mani del capo dello Stato Napolitano, Luigi Preiti da Rosarno, davanti a Palazzo Chigi scaricava tutta la rabbia e le frustrazioni di una vita senza futuro su due carabinieri di guardia davanti alla sede del governo.
Puntava al gesto clamoroso e c’è riuscito anche se soltanto a metà perché, come ha confessato lui stesso, non ce l’ha fatta a suicidarsi. La mancanza di un ultimo colpo nella sua 7,65 ha evitato che la tragedia avesse un bilancio più drammatico. Poi la firma su questo film dell’orrore: “sono solo un disperato, non odio nessuno”. Fin qui i fatti di una giornata e di un attentato che farà discutere e litigare. Molto e a lungo.
Riflettere su quanto accaduto deve farci capire se il Paese è arrivato ad un punto di non ritorno o se ci sono margini perché la politica recuperi credibilità verso un’opinione pubblica avvelenata contro un sistema corrotto e immutabile che stenta a dare risposte serie nei confronti di una crisi senza precedenti, pagata soprattutto dai ceti più deboli del Paese.
Stamattina quando la notizia della sparatoria è arrivata al Quirinale e cominciava a fare il giro del mondo, l’idea che a sparare fosse stato un pazzo, un folle isolato aveva destato preoccupazione ma fino ad un certo punto. Il colpo di testa partorito da raptus, da stress o solitudine,visti i tempi, ci sta. Ma quando si è capito che dietro quel gesto c’era la disperazione di un diseredato sociale indebolito da anni di disoccupazione e fallimenti personali che per venti giorni non ha fatto altro che pensare a come colpire i simboli del potere costituito ovvero gli uomini delle istituzioni e chi li protegge, allora le considerazioni si sono fatte più preoccupanti e cariche di incognite.”Sono segnali da prendere molto seriamente”hanno fatto sapere a caldo quasi tutti i big della politica i quali, però, hanno anche pensato bene subito di mordersi tra loro pesando, in maniera miserabile, il carico delle responsabilità tra chi fomenterebbe o meno la violenza contro le istituzioni in un momento cosi drammatico.
E subito è partita la caccia all’untore che ha costretto Grillo a dichiarare la sua totale contrarietà nei confronti della violenza.
Ma la verità è un’altra: violento è un sistema che non da più garanzie di sviluppo sereno e crescita nel rispetto delle regole e della legalità.
Violento e vile è quel mondo dove a farla franca sono sempre i furbi e dove a pagare sono sempre i più deboli.
Violento e spregevole è quel mondo che non vuole cambiare per non rinunciare ai propri privilegi. E l’Italia, da questo punto di vista, è decisamente poco presentabile per i suoi cittadini come per i nostri amici europei, con i quali condividiamo moneta, integrazione e futuro.
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