In questi ultimi mesi la cronaca relativa ad atti di violenza non ha risparmiato nessuno: minacce, aggressioni fisiche, soprusi, stalking, bullismo e chi più ne ha più ne metta. L’ultimo, in ordine cronologico, risale a due giorni fa e riguarda una donna incinta a cui hanno tirato dell’acido muriatico addosso. È il terzo caso di aggressione con acido, nel giro di pochi giorni. Le vittime sono due donne e un uomo.
Come sottolinea il criminologo dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, Vincenzo Mastronardi, questa escalation di violenza potrebbe attribuirsi ad “un fenomeno imitativo”. Infatti, come “l’uscita del romanzo ‘I dolori del giovane Werther’ di Goethe determinò un incremento a dismisura di suicidi, analogamente secondo le statistiche Usa, ogni notizia pubblicata sui quotidiani in prima pagina ha fatto registrare un aumento di 13 suicidi in più dal terzo all’undicesimo giorno dopo la pubblicazione della notizia. Senza criminalizzare l’informazione, che è un processo inarrestabile, vediamo le contromisure che una società evoluta e matura deve adottare verso fenomeni di devianza socio criminale”.
Quindi sì all’informazione, ma con maggiore attenzione alle parole che si scelgono e che si usano.
Nell’ultimo anno si è parlato tanto di violenza contro le donne e di femminicidio. E ieri ne ha parlato anche il ministro degli Interni Angelino Alfano affermando che “La legge contro gli atti persecutori approvata nella scorsa legislatura ha funzionato alla grande. Ci sono state migliaia di denunce”. “Se ci sarà da irrobustirla, lo faremo” ha sottolineato con soddisfazione.” Di questo- ha insistito il ministro- ne parleremo nel prossimo Consiglio dei Ministri quando si inizierà a discutere del femminicidio, anche nella logica di quanto detto dal ministro Idem che ha proposto la creazione di una task force. Una rotta c’è già ed è il piano nazionale contro la violenza sulle donne approvato nella scorsa legislatura”.
E poi ha aggiunto: “Troveremo tutti i soldi che servono per difendere le donne; non esiste un limite di spesa che possa fermare un Governo che voglia difendere le donne dalle aggressioni violente”.
Parole sacrosante. Ancora più importanti se si trasformeranno in azioni concrete.
Ma, a questo punto, alcune considerazioni sono d’obbligo.
Il gravissimo problema della violenza di genere non solo non va negato, ma va anche risolto in maniera impellente. Per farlo, bisogna imparare a parlarne in maniera corretta. Probabilmente, però, questo passaggio fondamentale è mancato nel passato, visto l’incremento dilagante del fenomeno.
Inoltre questo discorso andrebbe poi reinquadrato in un ambito più generico perchè – volenti o nolenti – la violenza fa parte dell’animo umano.
E, infine, non si possono non considerare le situazioni opposte, ovvero: se esiste la violenza di genere dei maschi sulle donne, esiste anche la violenza di genere delle femmine sugli uomini.
Però di quest’ultima non si parla. O se ne parla poco e male. Spesso, infatti, nei tanti blog che circolano sul web, la violenza che subiscono gli uomini viene citata solo per etichettare come “femministi” i blog stessi ( a quanto pare, oggi, è uno degli insulti peggiori). Oppure viene liquidata, in maniera più o meno esplicita, con le giustificazione o minimizzazione dell’azione del carnefice donna, in quanto “sicuramente” ha agito come reazione ad un’oppressione maggiore. Fermo restando che le generalizzazioni sono sempre superficiali e quindi pericolose, come si può ancora credere alla validità della guerra tra i sessi? La situazione è molto più complessa di così.
L’unica indagine ufficiosa sulla violenza subita dagli uomini è stata presantata a Roma il 13 novembre 2012. Non ci sono altri dati, né ricerche in merito. Ma le sorprese non mancano.
Il campione composto da 1.058 uomini, di diverse età e appartenenti a diverse fasce sociali, sono stati suddivisi in ordine alla residenza geografica: 411 nord (38,85%), 405 centro (38,28%), 228 sud e isole (21,55%), 11 residenza non dichiarata (1,03%) e 3 (0,29%) italiani residenti all’estero.
Da quanto emerge, anche in accordo con le ricerche internazionali, le modalità con le quali viene attuata la violenza non differiscono molto in base ai due sessi. Inoltre l’indagine dimostra che “le modalità aggressive non trovano limiti nella prestanza fisica o nello sviluppo muscolare; anche un soggetto apparentemente più ‘fragile’ della propria vittima può utilizzare armi improprie, percosse a mani nude, calci e pugni secondo modalità che solo i preconcetti classificano come esclusivamente maschili”.
Ma il dato più evidente riguarda la violenze psicologiche: solo il 2,1% degli intervistati ha dichiarato di non averne mai subite.
La situazione potrebbe essere considerata diversamente per la violenza sessuale, invece anche in questo caso solo il 2,2% riferisce di non esserne mai stato vittima. Anche se le modalità sono differenti (fisiologicamente una donna non può stuprare un uomo), gli uomini posso diventare vittime di violenza sessuale in altro modo: mediante l’utilizzo della costrizione, attraverso la forza o la minaccia, sia fisica che psicologica.
Ma chi sono le femmine che fanno violenza agli uomini?
Per rispondere, facciamo un confronto con i dati inversi, questa volta ufficiali.
Guardando i ‘ maltrattanti’, la prevalenza della violenza si riscontra nelle relazioni intime (88,4% dei casi): in particolare nel 35,3% il maltrattante è il marito, nel 25,4% il partner, nel 17% l’ex partner, nel 9,9% l’ex coniuge. In media si tratta di un partner italiano con regolare attività lavorativa.
Quindi, se i maschi che attuano la violenza sono persone comuni, si potrebbe desumere che lo stesso vale per le femmine: persone comuni, che conosciamo, con le quali ci relazioniamo. E, forse, siamo giunti al nocciolo della questione: ma siamo veramente certi che ruolo e responsabilità di vittima e carnefice siano poi così scontati? Siamo davvero in grado di percepire la verità al di là delle apparenze?
Il meccanismo psicologico per il quale una vittima riesce a parlare della violenza subita è tortuoso, complicato, doloroso e, fin troppo spesso, anche estremamente umiliante. Ma chi fa o procura violenza è sempre consapevole di essere effettivamente carnefice? Spesso i violenti minimizzano le proprie responsabilità, tendono ad eludere la consapevolezza della colpa.
L’esigenza di chiamare le cose con il loro nome, evitando auto-assoluzioni semplicistiche, in nome di quel senso di verità, rispetto e civiltà, oggi sembra una chimera lontana. Il problema infatti è prima di tutto culturale.
Forse sembrerà azzardato, ma se si intervenisse veramente sull’educazione e sulla cultura (quindi sul valore intrinseco dell’essere umano e delle sue incredibili capacità di apprendimento e crescita), gli atti di violenza – subiti e perpetuati sia da uomini che da donne – diminuirebbero automaticamente. Perché si imparerebbe a veicolare e canalizzare la violenza e l’intolleranza in altri modi, non facendola subire ad altri. Educazione ai rapporti umani quindi. Educazione al rispetto. Educazione alla libertà. E forse è proprio da quest’ultimo concetto che si potrebbe ripartire, ribaltando una delle massime alle quali siamo più assuefatti: la mia libertà finisce dove inizia la tua. Non è così: la mia libertà inizia dove inizia la tua.
C.D.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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