Un’azienda canadese sperimenta la ricreazione per i propri dipendenti ed aumenta la produttività. Non si tratta di una trovata pubblicitaria ma di una vera e propria strategia aziendale che ha visto nella pausa di gruppo un modo economico ed efficace per motivare i lavoratori e aumentare i guadagni.
Il caffè giusto al momento giusto. Quindici anni fa, i capi di un’impresa canadese di servizi per la casa hanno imposto uno stop di sette minuti ogni mattina, a partire alle 10.55 ma senza organizzare attività alternative decise dall’azienda. E da quindici anni duecento impiegati si fermano, lasciano pc e documenti sulla scrivania e poi bevono un caffè, chiaccherano tra di loro, scambiano notizie.
Il trucco potrebbe stare nel ridurre la pressione senza per questo lasciare i dipendenti ‘a briglia sciolta’. Loro allentano lo stress ma allo stesso tempo la pausa ha un limite prestabilito e sempre all’interno di un ufficio. I dipendenti sono dunque portati a scambiarsi informazioni che siano attinenti al proprio lavoro o a quello del collega e a condividere – liberamente, è questa la chiave – gli ultimi dati del settore o nuove idee.
L’esperimento ha dato un feedback talmente positivo in termini di soddisfazione dei dipendenti e di aumento della produttività da diventare oggetto di studio di una ricerca di due docenti della ‘Baylor University’, Emily Hunter e Cindy Wu che hanno messo a confronto le abitudini lavorative di circa mille soggetti, rilevando livelli di efficienza più alti nei lavoratori dell’azienda canadese in questione.
La ‘ricreazione’ è però solo uno dei modi di modificare il ritratto del lavoratore ‘fisso’ che entra alle 9 ed esce alle 17, e risponde ad un’esigenza collettiva di capi e dipendenti: i primi sono interessati alla produttività, i secondi puntano ovviamente ad un ambiente di lavoro piacevole, alla maggiore flessibilità e alla possibilità di organizzarsi le pratiche in modo da conciliare lavoro e famiglia.
‘Remote Working’ e ‘Smart Working’. Negli ultimi anni e con l’avanzamento della tecnologia, la flessibilità lavorativa ha cominciato ad essere vista non più solo come un miraggio, ma come un obiettivo realizzabile, tanto da essere attuata, in maniera differente, in molte grandi aziende e multinazionali. È ad esempio il caso della ‘Coca-Cola HBC Italia’, che già nel 2014 ha lanciato il progetto di Remote Working, cioè la possibilità per il dipendente di lavorare da casa per tre giorni al mese (36 giorni all’anno), con l’obiettivo, visto il trend altamente positivo di partecipazione, di coinvolgere tutti i 400 impiegati dell’impresa.
Non solo. Già dal 2013 l’azienda e principale e distributore dei prodotti ‘The Coca-Cola Company‘ in Italia ha favorito iniziative di lavoro agile, pensati in un’ottica di operatività cross-funzionale e nel 2015 la nuova sede dell’azienza (Prism) è stata progettata in open space e luoghi adibiti alla condivisione e alla socialità. Regolamentato anche l’orario di uscita dal lavoro, evitando il rischio di far nottata in ufficio: l’edificio chiude tassativamente alle ore 20.00.
Diverso dal telelavoro è lo smart working, che non obbliga il dipendente a stare ‘fisso’ in un luogo, ad esempio la propria abitazione. Lo smart working riduce la necessità di trovarsi fisicamente in ufficio per lavorare attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, permettendo allo stesso tempo una maggiore rapidità di intervento, oltre che di movimento.
Utilizzando sistemi di gestione documentale con accessi sicuri in remoto e gestione di sistemi di archiviazione avanzati, la diffusione dello smart working potrebbe aumentare la produttività delle imprese di 27 miliardi di euro, mentre farebbe risparmiare all’azienda 9 miliardi di euro in costi fissi.
Della serie, più il dipendente sorride, più sorridono i guadagni e, di conseguenza, anche il capo.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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