La finale di Champions del 24 maggio sarà Real-Atlètico. Una finale tutta made in Spain c’era già stata (Real-Valencia nel 2000), come c’erano già stati epiloghi tutti italiani (Milan-Juve nel 2003), inglesi (Manchester United-Chelsea nel 2008) e tedeschi (Bayern-Borussia Dortmund nel 2013). Un derby cittadino, ancora no. Al massimo due squadre della stessa città si erano affrontate a livello di semifinali con Real-Atlètico nel 1958/59 e Milan-Inter nel 2002/2003.
Un assoluto inedito, quindi, che premia una capitale, ma anche un movimento (considerando anche il Siviglia in finale di Europa League, dopo la semi fratricida con il Valencia), quello spagnolo, che gode di una salute sconosciuta a queste latitudini. Se poi si volesse estendere la disamina all’intera penisola iberica, con i portoghesi del Benfica vittorioso sulla Juve, il monopolio è totale.
La semifinale meno nobile della Champions ha, dunque, promosso all’atto conclusivo quella forse un po’ meno accreditata tra le due pretendenti. Lo 0-0 del Calderòn sembrava concedere un piccolo vantaggio al Chelsea di Mourinho. L’andamento della sfida dello Stamford Bridge con il gol “apriscatole” dell’1-0 pareva la conferma del micidiale cinismo della squadra diretta dallo Special One. Un vantaggio siglato, peraltro, da Torres. Non un giocatore qualsiasi. Ma un ex dell’Atlètico. E neanche un ex qualsiasi ma un ex capitano. Non solo, ma il più giovane capitano dell’intera storia dei “colchoneros”. Un segno del destino. Ma è stato proprio in questo frangente che l’Atlètico ha meritato il pass per Lisbona. La formazione di Simeone, comunque più manovriera e propositiva già sullo 0-0 (una traversa all’attivo), ha avuto il merito di non disunirsi e di riacciuffare immediatamente il pari, poco prima dell’intervallo. Una mazzata psicologica per gli inglesi. Al rientro in campo, infatti, anziché assistere al prevedibile forcing dei blues si è visto un Atlètico deciso a chiudere la vicenda. Poi, è vero, come sostenuto da Mou, che nel giro di pochi istanti si passati da una paratissima di Courtois (sarebbe potuto essere il 2-1 qualificazione per i londinesi) al rigore di Diego Costa, ma l’inerzia del confronto era già tutta nelle mani dei biancorossi. Il 3-1 di Arda Turan ha, poi, messo il sigillo alla sfida.
Una finale più che meritata dalla “banda Simeone” che, anche alla luce del match del Calderòn, ha mostrato molta più voglia di vincere e anche una qualità collettiva maggiore. A dispetto delle singole individualità di maggior spicco ed esperienza internazionale che compongono la rosa del Chelsea. Altro e diverso segno del destino: proprio il subentrato Eto’o, uno dei pretoriani di Mou, entrato per dare maggior spinta all’offensiva inglese, ha, di fatto, indirizzato la qualificazione con l’improvvida entrata sull’attaccante brasiliano naturalizzato spagnolo. Un intervento goffo che rispolvera la vecchia regola non scritta che vuole gli attaccanti il più lontano possibile dalla propria area onde evitare danni.
Un capolavoro tattico di Simeone, autentico condottiero di una rosa che lo seguirebbe anche agli inferi, in questo molto simile a Mourinho. Ma il suo Atlètico dimostra un coraggio di gran lunga superiore al Chelsea dello Special One e una maggior disposizione a giocare palla a terra. In questo caso, molto più che in quello dell’altra semifinale, si può dire che un allenatore si sia dimostrato, almeno nell’occasione, migliore dell’altro. Anche alla luce dell’abisso che separa i budget delle rispettive società.
L’Atlètico Madrid avrà una nuova opportunità di salire sul tetto d’Europa 40 anni dopo la beffa dell’Heysel con un titolo già in tasca nella finale con il Bayern ma sfumato ad un minuto dal termine dei supplementari grazie ad un tiro della disperazione del più improbabile degli eroi, il rude Schwarzenbeck. Poi, nel replay di due giorni dopo, i tedeschi, con lo spirito sollevato dei sopravvissuti, avrebbero dilagato per 4-0, dando il la al formidabile ciclo europeo dello squadrone di Beckenbauer, Muller, Maier, Breitner, &co.
Il Real sarà il naturale favorito, la sera del 24 maggio, ma a patto di non considerare la finale come una fastidiosa pratica da evadere. Oggettivamente, la differenza di tasso tecnico è evidente ma Simeone non commetterà l’errore di concedere agli scattisti “blancos” praterie dove innestare la marcia superiore. Ad Ancelotti il compito di trovare la chiave giusta per scardinare la rocciosa retroguardia “colchonera” e di far conservare alle sue stelle la dovuta umiltà e i rispetto che questo Atlètico ha dimostrato di meritarsi sul campo.
Il trionfo del calcio spagnolo si è completato ieri con la qualificazione alla finale dell’Europa League del Siviglia al termine di un’emozionante doppia semifinale con il Valencia.
Un messaggio in vista del Mondiale? Non necessariamente.
Perché la “roja” è imperniata sul blocco del Barcellona, l’unica squadra spagnola che, paradossalmente, pare in grande affanno e piuttosto modesto sarà il contributo di giocatori che le verranno offerti da Real, Atlètico e Siviglia. Almeno a livello di undici titolare. Mentre i giocatori blaugrana, vuoi per motivi anagrafici vuoi perché ormai con la pancia piena e minor fame degli avversari, paiono essersi lasciati alle spalle il meglio delle proprie carriere.
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