C’era qualche dubbio sulle sue reali condizioni di forma ( un ritiro prematuro alla Vuelta, anche se chiaramente strategico), ma su una cosa nessuno aveva dubbi: se al meglio delle sue possibilità, Mark Cavendish non può perdere una volata. E, su un’altra cosa, di dubbi ce ne erano, forse, anche meno: il circuito di Copenaghen era sfacciatamente per velocisti. Date queste premesse, il logico favorito non poteva che essere il nativo dell’isola di Man. Ma, e qui la logica cede il passo di fronte al senso comune, di razionale in una volata con più di 100 assatanati in cerca di gloria, c’è ben poco. E l’insidia è sempre dietro l’angolo.
Chiedere, per informazioni, al campione in carica, il norvegese Hushovd, già tagliato fuori ben prima dello sprint finale, a seguito di una rovinosa caduta. Quindi, anche su di un percorso come questo, nulla, ma proprio nulla, poteva darsi per scontato. Ma la squadra britannica ha svolto un lavoro eccellente. Guidando sempre il gruppo, dettando i ritmi, concedendo solo un paio di fughe, dall’annunciato sapore del tentativo disperato. Tutto come da copione. Volata doveva essere e volatona generale è stata ( più di tutte le altre volte, perchè persino a Lisbona, nel 2001, si erano presentati sul rettilineo finale in 46, mentre qui, addirittura, in 106). Ma Cavendish, ottimamente pilotato da quel gran campione che è Wiggins ( stavolta, con indosso i panni del “gregario di lusso”), ha dovuto fare appello a tutta la sua classe, alla sua potenza e alla sua sicurezza per spuntarla, di mezza ruota, sul secondo, il vincitore dell’ultima Sanremo, l’australiano Goss. E anche qui, come nella corsa femminile per professionisti, la dinamica è stata piuttosto simile. Cavendish si è sì avvalso del prezioso operato di Wiggins, ma è pur sempre partito da posizione defilata con il concreto rischio di rimanere “imbottigliato”. Ma, se Wiggins ha fatto “la Baccaille della situazione”, lui ha dovuto imitare al millesimo la nostra Bronzini d’oro. Per scelta di tempo nel lanciare la sua volata e, soprattutto, per l’abilità di “sgusciare” tra le maglie degli avversari, trovando il pertugio giusto, come aveva fatto Giorgia, all’esterno, ribadendo che, tutto sommato, partire in posizione centrale non è che sia poi una così gran trovata. L’ha sperimentato sulla sua pelle Goss, come lo aveva già dolorosamente constatato la Vos il giorno prima. Una bellissima, anche e annunciata, volata, dunque. E gli italiani? Sostanzialmente, non pervenuti. Il nostro miglior corridore, Bennati, è giunto solo 14°, la peggior prestazione di sempre ( dopo il 17° posto di Saronni ad Altenrhein nel 1983, senza contare i tutti ritirati nel 1937 e nel 1950). Non c’erano grandi speranze alla vigilia, è vero. Non avevamo nessun velocista di primissima fascia, verissimo. L’unico sprinter di rango internazionale, Alessandro Petacchi, era stato sacrificato sull’altare della trasparenza ( veto a partecipare alle competizioni per squadre nazionali per tutti i corridori squalificati dai 6 mesi in su, ndr). L’unico, peraltro, ad essersi preso la soddisfazione di precedere Cavendish, all’ultimo Giro d’Italia. Due belle speranze del nostro ciclismo veloce, Belletti e Gatto, relegate “in panchina”, per far posto a due passisti ( Visconti e Gavazzi), veloci sì, ma pur sempre passisti. Il nostro capitano designato per la medaglia, Bennati, bravo e veloce, ma non velocissimo, e poco abituato a sprint così affollati come questo. Daniele Bennati, la sua volata, di fatto, non l’ha neanche abbozzata: “ Sono deluso, mi dispiace molto. Ho le spalle larghe per cui posso sopportare serenamente le critiche. Però resta il fatto che, a due chilometri dall’arrivo, sono stato lasciato solo. A quel punto non potevo neanche tentare lo sprint, non c’era lo spazio. Non sono mica Cavendish che può trovarsi gli spazi da sé. Io avevo bisogno della squadra, del “trenino”. Ma non c’eravamo dove dovevamo essere: là davanti. Per cui le mie gambe non c’entravano niente. Su questo punto non posso essere criticato.” Qualche critica ha dovuto ascoltarla, soprattutto, Sacha Modolo, il giovane esordiente che tanto bene aveva fatto durante l’estate. Modolo partiva con il compito di mettersi sì al servizio di Bennati, ma con l’opportunità di agire, all’occorrenza, come “battitore libero” e di tentare la sorte in proprio, appoggiandosi alla scia dei rivali migliori. “Ha perso un’opportunità”, ha detto, al termine, uno scuro Bettini, il c.t. azzurro che ora dovrà fare da parafulmine per gli strali che, inevitabilmente, gli pioveranno addosso ( alcuni già arrivati a destinazione e provenienti da grandi protagonisti del nostro passato a due ruote). Si è pagato a caro prezzo lo scotto dell’inesperienza di una Nazionale molto giovane ( i “treni” bisogna avere l’abitudine di saperli costruire) e non è un caso che l’unico azzurro che si è segnalato in positivo sia stato Paolini, entrato in una delle due fughe di giornata, uno dei più navigati. Poco. Troppo poco, anche per una squadra partita con velleità di outsider. Un Mondiale da dimenticare, insomma. E in fretta. Perché a Londra, nel 2012, non si preannuncia un percorso molto più duro. E Cavendish, con la spinta del rinnovato entusiasmo per il pedale di un Paese che non assaporava emozioni dorate dai tempi del povero Tommy Simpson, ha già nel mirino l’alloro olimpico. Daniele Puppo
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