L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla è morto alle 6:30 di venerdì (ora locale) a 87 anni. Si trovava nel carcere di Marcos Paz, vicino a Buenos Aires, dove stava scontando 2 ergastoli: più di 50 anni di carcere per i crimini commessi durante il suo regime.
Nato a Mercedes, in provincia di Buenos Aires, il 2 agosto 1925, Videla guidò il colpo di Stato che il 24 marzo del 1976 depose Isabel Peron, la vedova di Juan Domingo Peron, e rimase presidente de facto del Paese sudamericano per 5 anni, fino al 1981, quando il potere passò a Roberto Viola, un altro militare che lo avrebbe mantenuto fino al 1983, l’anno del collasso del regime in seguito alla sconfitta nella guerra delle Falkland.
Nei suoi anni di dittatura migliaia di argentini, considerati ostili al regime, sono stati fatti “scomparire”. Il computo totale delle vittime della giunta militare oscilla, secondo le stime, tra 12 e 30 mila. Spesso i figli neonati dei ‘desaparecidos’ erano presi dalle forze di sicurezza e consegnati a famiglie vicine al regime militare. Alcuni di loro hanno scoperto solo molti anni più tardi di essere cresciuti al fianco non dei propri genitori naturali, ma dei fiancheggiatori dei carnefici dei propri padri e delle proprie madri.
Nel 1983, due anni dopo il ritorno della democrazia in Argentina, fu processato e dichiarato colpevole per l’omicidio e la sparizione di migliaia di cittadini avvenuta durante la sua presidenza, con condanna all’ergastolo. Tuttavia, nel 1990 il Presidente Carlos Saúl Menem, su pressione degli apparati militari, gli concesse l’indulto insieme con altri membri delle giunte militari e capi della polizia della Provincia di Buenos Aires.
Uno dei primi commenti è stato quello del Premio Nobel per la pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, che per anni ha denunciato gli abusi della dittatura: “Ha passato la vita a provocare danni gravissimi ed ha marchiato la vita del Paese”, ha detto a caldo l’attivista per i diritti umani. “La sua morte elimina la presenza fisica, ma non ciò che ha fatto al Paese”.