Una volta le chiamavano, con un accenno di disprezzo, ‘pellicce sintetiche’. Oggi che se ne fa una questione di rispetto del mondo animale e di una sostenibilità che ha necessità del nostro cambiamento di abitudini, anche radicale, questi capi alla moda tra i più caldi e confortevoli hanno fogge e colori più strani, quasi ad evidenziare che sono assolutamente finte e quindi “animal free”, “eco-fur”, “green” “cruelty free” . E sono un vero capo Grande è però la confusione su questo indumento tanto diffuso. Innanzitutto, il consumatore ignaro, acquistando la pelliccia sintetica, è convinto non solo di risparmiare ma di fare anche una scelta etica e sostenibile per l’ambiente. Nulla di più sbagliato. Alla confusione contribuiscono certamente la scarsa conoscenza dei materiali utilizzati, spesso per colpa delle industrie produttrici dei capi e, pure la convinzione che la difesa degli animali implichi, necessariamente anche quella per l’ambiente e per le persone che lavorano nel tessile. Che cioè gli animalisti siano per forza anche ecologisti. Le pellicce ecologiche sono, invece molto inquinanti poiché derivando quasi sempre da fibre sintetiche che non sono biodegradabili e rimangono quindi nell’ecosistema al pari delle bottiglie o dei sacchetti di plastica. La parte etica riguarda invece i luoghi di produzione: Pakistan, Bangladesh, Cina, dove a lavorare sono molto spesso anche i bambini. Ma come si sono trasformate da ‘finte’ o ‘sintetiche” , in ‘pellicce ecologiche’? Le prime create in laboratorio risalgono addirittura al 1929 circa. Prodotte generalmente con fibre artificiali, sintetiche (viscosa, acrilico e modacrilico) e solo più raramente con fibre naturali come il cotone o la lana, sono introdotte sul mercato per imitare quelle vere e soprattutto per le piccole bordure. Nel 1957 l’azienda giapponeseKaneka crea il Kanecaron, fibra modacrilica sintetica contenente acrilonitrile in una percentuale variabile dal 35% all’85% materiali derivati dal petrolio e molto, molto inquinanti. Questa fibra ha eccezionali performance e una consistenza simile ai capelli umani e alla pelliccia vera, per questo motivo diviene in pochissimi anni tra le fibre più richieste per le pellicce ecologiche di qualità. Negli anni sessanta, prima in America e poi in Europa e quindi anche in Italia, sulla spinta degli animalisti – memorabili le campagne della mitica Brigitte Bardot nel 1962 – diventano surrogato delle pellicce vere, sia per le terribili condizioni in cui vengono allevati gli animali da pelliccia, sia per ridurre l’inquinamento dovuto al processo di lavorazione delle pelli che subiscono un trattamento chimico di conservazione prima di arrivare in conceria dove vengono trattate con sostanze ancora più pericolose, come la formaldeide, i coloranti e le candeggine, molto inquinanti per le falde acquifere e per il loro smaltimento. Anche il costo fortemente ridotto rispetto ai capi costruiti con pelli vere favorisce la grande diffusione delle Faux-fur unitamente alla necessità di sostituire alcuni tipi di pelliccia non più producibili per via di specie animali protette in quanto in via di estinzione. Nel 2014 però la Commissione Europea stabilisce, con analisi probanti, che l’acrilico la sostanza con l’impatto ambientale peggiore. E se la California fa sapere che dal 2023 non fabbricherà più né venderà capi di abbigliamento, borse e scarpe in pelliccia, sul fronte del settore moda tra i più pregiati e costosi si registra la mobilitazione per promuovere la pelliccia come opzione più sostenibile e naturale, investendo in programmi di certificazione e divulgazione educativa a livello industriale. I pellicciai tengono a sottolineare il lungo ciclo di vita del materiale, il fatto che sia biodegradabile e la presenza limitata di sostanze chimiche aggressive nella sua lavorazione. Le associazioni affermano, inoltre che l’impatto ambientale è minimo rispetto alla produzione di eco-pelliccia, che è ancora comunemente realizzata con materiali sintetici come poliestere o modacrilico. Torneremo sui nostri passi per indossare splendidi mantelle di visone, volpi rosse o argentate e quant’altro, oppure saremo inflessibili e rimanderemo indietro anche la più pregiata pelliccia che ci potrebbe essere regalata? Una cosa è certa: se le pelli sono state indispensabili per migliaia di anni ai primi uomini che vivendo all’aperto avevano necessità di coprirsi, oggi l’innalzamento delle temperature rende talvolta molto fastidioso sopportare il calore di una eco-pelliccia. Nel frattempo cominciamo a chiederci dove e come smaltiremo tutte le “pellicce ecologiche sintetiche”, non biodegradabili ed altamente inquinanti, prodotte fino ad oggi, che conserviamo nei nostri armadi. Probabilmente andranno ad accumularsi con altri rifiuti, non smaltibili, in qualche paradiso naturale, ai confini del mondo, a deturpare ed uccidere qualche altro ecosistema. Elisa Rocca