Puro miele d’api? No, veleno tossico

Quante volte ci hanno detto che per capire se l’aria è buona e se in natura tutto è a posto, dobbiamo guardare alle api? Loro, a giudizio unanime condiviso dagli scienziati,  hanno il sensore madre che stabilisce il livello di qualità di tutto ciò che ci circonda. Quante volte abbiamo letto che se le api fanno meno miele o addirittura diminuiscono o scompaiono allora dobbiamo temere il peggio per la nostra salute?

Una drammatica conferma di questi luoghi comuni stavolta è venuta dalla Germania, la verdissima e ambientalissima Germania della signora Angela Merkel che grazie a due suoi cittadini ha scoperto che la realtà grunen del cuore d’Europa è molto meno idilliaca ed efficace del previsto. Ad aprire gli occhi ai tedeschi ed al mondo è stata una appiccicosa manifestazione  davanti al Ministero Federale dell’Agricoltura di Berlino, sulle cui scalinate, nella mattinata del 15 gennaio, sono stati versati quintali di miele, prodotti da una coppia di apicoltori biologici di Biesenthal.

L’azione di protesta è stata attuata da Sebastian e Camille Seusing, gestori di un’azienda agricola familiare, quando le analisi dell’ufficio alimentare hanno rilevato nel loro miele “biologico”, residui di glifosato fino a 152 volte superiori al limite consentito. I due bravi apicultori hanno scoperto a loro spese di non produrre miele biologico e dunque puro, ma autentico veleno tossico per l’uomo

Per la famiglia Seusing c’è ora il rischio di dover chiudere l’azienda a causa di un danno economico da 60.000€ e di 4 tonnellate di miele da buttare, un parte del quale è finito sui gradini davanti agli uffici del Ministro Federale Julia Klöckner (CDU).

Non è la prima volta che in Europa il glifosato è al centro delle polemiche. La Comunità Europea ne ha consentito l’uso per un quinquennio fino al 2023, ma già da qualche anno i singoli stati hanno cercato di limitarne l’uso. Negli Stati Uniti alcuni agricoltori nel 2018, tra cui Dewayne Johnson, hanno vinto cause milionarie di risarcimento danni contro la Monsanto produttrice dell’erbicida RoundUp a base di glifosato, ritenuto a fine processo diretto responsabile nell’insorgenza di tumori negli esseri umani, specialmente di quelli a carico del sistema endocrino.

Già nel marzo 2015, l’organismo internazionale IARC (International Agency for Research on Cancer) aveva classificato il glifosato e i fitofarmaci che la contengono come “probabile cancerogena per l’uomo”, ma nel novembre dello stesso anno, l’EFSA-Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, aveva invece definito il prodotto come “improbabile cancerogeno”, sollevando numerose polemiche. Nuovamente, nel marzo del 2017, uno studio della ECHA (l’agenzia per le sostanze chimiche dell’Unione) aveva infine concluso che il glifosato non può essere considerato cancerogeno né genotossico.  Tuttavia i biologi lo ritengono ad oggi uno dei principali responsabili del crollo delle popolazioni di insetti che influenzano la diversità delle specie, danneggiando così gli ecosistemi a causa dell’interruzione delle catene alimentari naturali e dell’impollinazione delle piante.

Dal 2018 il marchio Monsanto, principale produttore di erbicidi a base di glifosato, è nelle mani della tedesca Bayer e le proteste in Germania, tra azionisti preoccupati di veder dilapidati i propri guadagni per rimborsi milionari, i piccoli agricoltori biologici che vedono contaminati i propri raccolti e i grandi agricoltori che dichiarano l’incriminato erbicida fondamentale strumento nella lotta alle infestanti dannose per le colture, hanno segnato l’intero 2019, portando in strada a Berlino circa 10.000 agricoltori.

Per questo il governo di Angela Merkel, dopo un acceso dibattito interno tra Svenja Schulze (SPD), ministro dell’ambiente e Julia Klöckner (CDU), ministro dell’agricoltura ma più favorevole all’industria, ha presentato il piano per bandire la sostanza chimica entro la fine del 2023, quando scadrà il periodo di approvazione dell’UE.

Nel frattempo l’Austria è diventata il primo membro dell’UE a vietare l’uso del glifosato già a luglio 2019, mentre vigono restrizioni nella Repubblica Ceca e nei Paesi Bassi. Il Lussemburgo prevede di eliminare la sostanza incriminata nel 2021 mentre la Francia pensa ad un’azione più graduale da concludere entro il 2023.

 E in Italia? Nel nostro Paese con un decreto ministeriale del 9 agosto 2016 l’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha messo in campo alcune importanti restrizioni. Innanzitutto l’uso del glifosato è vietato “in parchi, giardini, campi sportivi, aree di gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne, complessi scolastici e strutture sanitarie”, il divieto scatta anche in agricoltura, durante il raccolto e la trebbiatura, ovvero quando i prodotti della terra sono ormai prossimi a finire in tavola, Sempre nel decreto infine vengono revocate nuove autorizzazioni di prodotti fitosanitari che lo contengono.

Tali restrizioni hanno portato ad un alleggerimento della presenza di glifosato nei nostri alimenti tanto da risultare assente nei campioni del “Controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti per l’anno 2017”, pubblicata nell’agosto 2019 dal ministero della Salute.

Se la salute umana non è a rischio lo sono tuttavia le api la cui popolazione negli ultimi 5 anni nel nostro Paese è scesa con una media di -200.000 alveari ogni anno, mentre nello stesso periodo, nel mondo scomparivano circa 10 milioni di alveari.

A mettere a rischio la vita delle api e la produzione di mieli concorre soprattutto il cambiamento climatico in atto e la comparsa di nuovi parassiti. Il 2019 è stato per l’apicoltura italiana un anno particolarmente difficile: l’inverno mite seguito da una primavera molto piovosa e da un’estate partita a rilento e caratterizzata da eventi climatici estremi, hanno portato come risultato una produzione dimezzata. La Coldiretti, basandosi su dati ISTAT ha affermato che: “La sola produzione nazionale di miele di acacia e agrumi ha fatto registrare una contrazione del 41% rispetto alle attese”. Per questo, la produzione annuale nazionale è risultata ben al di sotto degli oltre 23,3 milioni di chili del 2018.   ISMEA, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare stima questo calo produttivo in oltre 73 milioni di euro di danni. http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/10772

Se già l’apicoltura è in pericolo, la situazione è destinata solo a peggiorare dato che dall’azione degli insetti impollinatori dipende il 70% della produzione agricola mondiale, ossia del cibo che portiamo a tavola.

Elisa Rocca

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