Secondo il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi, dell’omicidio di Giulio Regeni non bisogna incolpare i servizi di sicurezza egiziani.
A ucciderlo – secondo il Presidente – è stata “gente malvagia”. Nessun altro dettaglio. Il capo di Stato ha detto la sua nel corso di un incontro con giornalisti, sindacalisti, portavoce dei gruppi parlamentari e del Consiglio nazionale per i diritti umani, organizzato al Cairo nella sede del Parlamento.
“Noi egiziani abbiamo creato un problema” con l’omicidio di Regeni, dice il presidente, che però ne attribuisce la responsabilità alla stampa, colpevole di aver pubblicato “menzogne”.
“Dall’inizio della vicenda alcuni di noi hanno accusato gli apparati di sicurezza attraverso i social network”, è la sua ricostruzione, “e molti di noi hanno preso per buone queste notizie”. Per poi aggiungere: “Chi fa il giornalista deve avere fonti, deve fare ricerche”.
Dopo la rapida lezione, Sisi ha ribadito le sue condoglianze alla famiglia Regeni, ha invitato gli inquirenti italiani a tornare al Cairo, e ha promesso di affrontare la questione “in tutta trasparenza”.
“Attribuiamo grande interesse a questo caso in particolare, in quanto abbiamo relazioni privilegiate con gli italiani”, ha continuato Sisi. “La dirigenza italiana si è messa al fianco dell’Egitto dopo il 30 giugno”, la data delle manifestazioni di piazza contro il presidente Mohammed Morsi che nel 2013 portarono al colpo di Stato dei militari contro il governo dei Fratelli Musulmani eletto un anno prima.
Le dichiarazioni del presidente non hanno smosso di un palmo le perplessità italiane: da più di due mesi a questa parte – il corpo senza vita di Regeni è stato ritrovato il 3 febbraio – dal Cairo arrivano nuove teorie più o meno fantasiose con cadenza quasi regolare. In queste stesse ore il governo sta studiando le misure da prendere per convincere le controparti egiziane a non limitarsi più alle promesse.
Alla Farnesina, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni – di ritorno dalla visita in Libia – ha ricevuto l’ambasciatore Maurizio Massari, richiamato in Italia la settimana scorsa dopo il fallimento del vertice di Roma con gli inquirenti egiziani.
Se dal Cairo non arriveranno segnali chiari del “cambio di marcia” nelle indagini, al quale il ministro ha fatto appello più volte nelle scorse settimane, la nostra diplomazia è pronta a prendere provvedimenti riducendo la portata dei rapporti bilaterali. L’impressione è che ne possa fare le spese qualche articolo dei complessi accordi culturali fra i due Governi. La Farnesina potrebbe anche decidere di emettere un warning, un avviso generico a “fare attenzione”, per ricercatori e studenti che sono già – o contano di recarsi a breve – in Egitto. Gli scambi economici invece corrono meno rischi, perché anche Roma, nonostante la promessa di fare pressione sul Cairo, vuole evitare a tutti i costi strappi troppo profondi.
Un’altra via percorribile può essere quella che porta all’ONU, dove l’Italia potrebbe promuovere un’analisi della situazione dei diritti umani nel regime di Sisi.
Dall’Europa si moltiplicano i gesti di solidarietà per la posizione italiana. Gianni Pittella, capogruppo dei Socialisti e democratici all’Europarlamento, ha chiesto alla Commissione UE di rivedere i rapporti con l’Egitto.
Una sponda meno attesa è arrivata da Londra. Il Foreign Office ha sollecitato il governo del Cairo, in via ufficiale, a rendere “completa e trasparente” l’indagine sul caso Regeni. Si è trattato di un atto dovuto dopo la levata di scudi universale della comunità accademica di Oltremanica, comunità di cui faceva parte anche il ricercatore italiano, che com’è noto lavorava per conto dell’università di Cambridge. La petizione alla quale Londra ha dato seguito ha più di diecimila firme.
Dal Cairo, intanto, il ministro degli Esteri Sameh Shoukry ha evocato la possibilità di consegnare a Roma i tabulati telefonici richiesti con insistenza dagli inquirenti italiani. D’altra parte, lo stesso ministro ha avvertito che con ogni probabilità le indagini dureranno ancora altri mesi. In ogni caso, solo la storia saprà dire se alla proposta di Shoukry seguiranno i fatti.
Un segnale che potrebbe essere letto come incoraggiante arriva invece dal Parlamento del Cairo, che si è assunto “l’impegno formale a tenere una seduta pubblica” dedicata in modo specifico al caso Regeni. Lo hanno annunciato oggi a Strasburgo Alberto Cirio, Fulvio Martusciello e Massimiliano Salini, tre eurodeputati forzisti. “Vogliamo la verità per la famiglia ma anche per noi”, ha detto Salini, “per i rapporti storici tra Italia ed Egitto”. E Martusciello ha aggiunto: “Siamo soddisfatti del fatto che questi parlamentari abbiano assunto questo impegno formale per arrivare alla scoperta della verità”.
F.M.R.
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