Si sa il tempo è denaro, soprattutto per le banche: ad appena un giorno dall’acquisizione di Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti, i tre istituti bancari falliti e mandati in risoluzione alla fine del 2015 con grave perdite da parte di azionisti e risparmiatori, Ubi Banca annuncia il piano industriale che entro il 2018 dovrà portare le tre banche, la cui sede legale si trasferisce a Bergamo, a fondersi in Ubi (Unione banche italiane).
Il dato più importante è l’annuncio di tagli per un terzo del personale che porteranno a ridurre di circa 200 milioni gli oneri operativi per la neo nata Banca Tirrenica (ex Banca Etruria), Banca Adriatica (Ex Banca Marche) e Banca Teatina (Ex CariChieti).
Si tratta di azioni “necessarie” spiega il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah:“Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti giungono da un contesto di grande crisi, di grande difficoltà, che implica inevitabilmente delle azioni cosiddette di ‘turnaround’ che vanno innanzitutto a incidere sulla struttura dei costi e sulla qualità del credito” Per questo motivo serviranno “importanti riorganizzazioni, ci saranno delle uscite di personale inevitabili e allo stesso tempo, però, la pulizia che è stata fatta sulla situazione del credito non performante migliorerà nettamente il costo del rischio” spiega Massiah in una nota.
A sovraintendere il processo di ristrutturazione e fusione delle tre “Bridge Bank” in Ubi sarà Osvaldo Ranica, già direttore generale della Popolare di Bergamo.
Bad Bank, Bridge Bank e Good Bank. D’altra parte, Ubi era stata chiara: ok al salvataggio ma senza esporre l’istituto a rischi. La condizione all’acquisizione dei tre istituti bancari (comprati per la cifra simbolica di un euro) era perciò il rilevamento dei loro crediti deteriorati per almeno 2,2 miliardi di euro. Solo dopo questo passaggio, Bankitalia ha potuto fare l’annuncio ufficiale della cessione del 100% di Banca Etruria, su cui si è appena riaccesa la polemica a causa del libro di Ferruccio De Bortoli, Banca Marche e CariChieti ad Ubi. Il Fondo Atlante ha fatto quindi il suo dovere, prendendo sulle proprie spalle i titoli “tossici” e favorendo la trasformazione definitiva delle tre banche in good bank, ossia in istituti interamente sani, ripuliti dalle attività non redditizie attraverso la creazione di società destinate al fallimento e in cui sono confluiti tutti i crediti nocivi (Bad Bank).
Ma attenzione. Per il momento nessuno dei tre istituti bancari si può definire a tutti gli effetti una “good bank”. Ubi Banca ha infatti parlato della “piena integrazione delle Bridge Banks nella rete commerciale UBI Banca (ossia in entità in crisi gestite dall’Autorità in vista di una vendita successiva). In altre parole, il processo di trasformazione delle banche acquistate in società solide, attive e interamente redditizie, è ancora in corso e, almeno secondo le previsioni di Ubi, diverrà completo all’inizio del 2018 quando si concluderà il processo di fusione.
Vediamo allora i dettagli del piano industriale annunciato oggi da Unione banche italiane. Come già detto, Ubi si prefissa di tagliare le spese della gestione e della fusione (oneri operativi) “attraverso l’incremento della produttività complessiva– che, a sua volta – comporterà la riduzione dell’organico (-1.569 risorse o -32% rispetto al 2016 nel perimetro Bridge Banks) e l’ottimizzazione delle altre spese amministrative”.
Si restringe anche il numero delle filiali, portando alla chiusura di “140 filiali delle tre banche incorporate entro il 2020, su un totale di 370 chiusure previste nel gruppo”. Anche grazie a queste operazioni, il Piano Industriale 2017-2020 stima un utile netto per il gruppo Ubi allargato in crescita a 919 milioni nel 2019 e a 1.117 milioni nel 2020.
Non si tratta però, almeno in teoria, di licenziamenti in tronco. L’intero processo di fusione sarà monitorato dalla FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani). Il sindacato, che ha già annunciato di essere “pronto alla protesta” in caso contrari, spingerà verso la gestione delle uscite attraverso gli strumenti contrattuali: prepensionamenti, uscite volontarie e incentivate con accesso agli ammortizzatori sociali di categoria.
Ue: crescita dell’Italia soffocata dal settore bancario. Ma se le cose non dovrebbero andare come previsto, sarebbe l’intero Paese, non solo i lavoratori del settore bancario a risentirne: secondo gli ultimi dati arrivati dall’Unione Europea, l’Italia è il Pese che cresce meno di tutti: “Da 0,9% quest’anno passa a 1,1% l’anno prossimo”, perché “persistono le fragilità strutturali che conosciamo”, conferma il Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici nelle previsioni economiche di primavera. Ad ostacolare l’aumento del PIL vi sono infatti, “L’incertezza politica e il lento aggiustamento nel settore bancario” che, al momento, “rappresentano rischi al ribasso alle prospettive di crescita italiane”.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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