Per poco meno di un miliardo di euro l’Italia perderà proprietà e controllo di Telecom e Alitalia. Per ottocento milioni consegneremo agli spagnoli di Telefonica una dissestata e massacrata Telecom che, è bene ricordarlo, alla fine degli anni novanta tra i propri obiettivi strategici aveva proprio il controllo della società telefonica spagnola. Con 150 milioni invece i francesi di Air France, dopo un tentativo di salvataggio portato avanti dal governo Berlusconi e da Roberto Colaninno costato oltre sei miliardi di euro ai contribuenti italiani si porteranno a casa Alitalia per la quale non più di due anni gli stessi francesi avevano fatto offerte ben più generose respinte solo per stupido e insensato orgoglio nazionale. L’Italia industriale è in svendita tra la pressoché indifferenza generale. Il presidente del consiglio Gianni Letta secondo un rituale logoro e ridicolo afferma che il nostro Paese “vigilerà” sulla vendita di Telecom anche se riafferma quanto tutti sanno e cioè che la società amministrata da Franco Bernabè “è una Spa” e che, dunque, rispetto al mercato può muoversi come vuole. Resta il fatto, grave, proprio perché sostenuto dal chi guida il governo, che Letta fa finta di non sapere che Telecom, presente in 22 Paesi con una rete fatta di 10.400 centrali, con 575.000 km di tracciato e 724 mila chilometri di fibra in accesso e 151.000 armadi di smistamento, è il sistema nervoso tecnologico cui si affida l’Italia per comunicare, lavorare, produrre ed investire. Un business da 11 miliardi di euro l’anno che, tra l’altro, dà lavoro a 54.000 persone, oggi in buona parte a rischio licenziamento nel caso di eventuali integrazioni operative con il colosso iberico. Con la proprietà del 70% circa di Telco, la holding che controlla Telecom, e la possibilità di passare al cento per cento del capitale, i giochi sembrano ormai fatti con poche possibilità di opzioni che possano rivedere gli asset strategici di questo accordo che alla lunga potrà mettere in gravi difficoltà il nostro Paese con danni incredibili sia sul piano internazionale che su quello della già compromessa realtà industriale italiana. Il ruolo del governo italiano Non è affatto vero che il governo non possa giocare un ruolo in questa vicenda. Letta può ancora intervenire con due strumenti che offrono opportune ed indispensabili vie d’uscita. L’utilizzo attraverso il Tesoro della golden share, che riconsegnerebbe al governo l’ultima parola su tutta l’operazione, oppure un provvedimento di legge con il quale si dà attuazione dello scorporo della rete che secondo logica e buon senso non può non restare in mani italiane. Ma contro questa ipotesi si schiera l’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabè che non è disponibile a lasciar fuori questo “valore aggiunto” che tiene alto il prezzo delle quotazioni (bassissime in borsa e nelle valutazioni degli esperti) nella eventualità di passaggi azionari e concambi con gli spagnoli. Ma il dubbio è che, cosi impostata l’operazione, in maniera decisamente favorevole a Telefonica, favorisce solo Bernabè e la sua eventuale permanenza al proprio posto, nicchia dorata, cui, in caso di perfezionamento dell’accordo, potrebbe aspirare proprio il presidente di Telefonica Allierta. Dove vanno a finire gli interessi del Paese? A questo punto dobbiamo chiederci se a prevalere dovranno essere gli interessi del Paese o quelli di Bernabè, da troppo tempo, uomo solo al comando, di una società strategica distrutta imprenditori “illuminati” (come non ricordarsi di Tronchetti Provera e della sua rete di spioni?,) sostenuti e foraggiati da padrini politici di destra e sinistra veri artefici, insieme all’attuale amministratore delegato di Telecom, di questo imbarazzante, anche si spera, non definitivo e scontato epilogo.
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