Arte marziale, tecnica di lunga vita, pratica riabilitativa e filosofia meditativa: il Tai Chi Quan è tutto questo e altro ancora. Un libro appena uscito presso la Bulzoni spiega tutti i principi di una pratica che dalla Cina si è diffusa in tutto il mondo. A spiegare perché, Gianna Sabatelli, coautrice del libro insieme a Sergio Raimondo.
Arte marziale, pratica meditativa, tecnica di lunga vita: il Tai Chi Chuan è tutto questo e molto altro ancora. Le sue origini si perdono nella leggenda e nella tradizione cinese, che ne fa risalire l’introduzione alla dinastia Yuan (1279-1368), ad opera del monaco Chang San-feng. La sua pratica è stata tramandata fino ai giorni nostri e diffusa non solo in Oriente, a dimostrazione della sua evidente efficacia e della sua irriducibile attualità. Ne discutiamo con il maestro Gianna Sabatelli, insegnante di Tai Chi Chuan stile Chen e autrice, insieme al maestro Sergio Raimondo, dell’interessante saggio La forza di seta. Fondamenti e principi del Taijiquan Chen, pubblicato recentemente dalla Bulzoni Editore nella collana «Maestri tra noi».
In che modo si potrebbe definire il Tai Chi Chuan?
Il Tai Chi Chuan è un’arte marziale, una tecnica di lunga vita, e mostra la sua validità anche come terapia riabilitativa. Io ritengo tuttavia che il Tai Chi Chuan sia fondamentalmente un percorso di conoscenza che ci accompagna per tutta la vita, e in questo senso una ricchezza continua, un continuo cambiamento.
In cosa differisce lo stile Chen dagli altri stili di Tai Chi Chuan?
Lo stile Chen è lo stile di Tai Chi Chuan più antico; gli altri stili derivano fondamentalmente da esso, in qualche modo ne sono una semplificazione. Nonostante i principi basilari vengano conservati in tutti gli stili, l’esercizio, l’attuazione di quei principi è differente.
Cosa contraddistingue gli stili interni di kung fu da quelli esterni?
Dare un’importanza maggiore alla postura, all’equilibrio, allo scorrimento del chi all’interno del corpo più che alla forza muscolare, è proprio degli stili interni. Nel Tai Chi Chuan esiste l’aspetto marziale, ma vi si arriva dopo un’accurata preparazione, perché altrimenti si farebbe uso della forza muscolare. Noi cerchiamo di lavorare sulla potenza che viene sviluppata all’interno del tan t’ien: viene definita una “sfera di metallo avvolta nel cotone”, all’apparenza è morbida ma all’interno si cementa la forza.
A quale fascia d’età è destinata la pratica del Tai Chi Chuan?
I giovani necessitano di un allenamento più dinamico, e a volte bisogna aggiungere qualcosa, mentre con le persone più mature bisogna sottrarre, permettendo di ritrovare una certa naturalezza, una certa libertà nei movimenti. Il Tai Chi Chuan è adatto a chiunque: si tratta di capire la propria natura, seguirla, assecondarla. Se rispetto e lavoro sul mio limite, esso viene superato strada facendo.
È possibile considerare il Tai Chi Chuan un’arte finalizzata alla sintesi?
Io la percepisco come un’arte in cui non si aggiunge niente, ma si toglie tutto il superfluo che abbiamo incamerato nel corso degli anni, a partire da quelle sovrastrutture che per lungo tempo hanno costituito una nostra mendace forma di sicurezza, dalle concezioni ideologiche e dai meccanismi di difesa che spesso trovano espressione nel linguaggio del corpo.
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