Dopo i servizi di ‘car’ e ‘bike’ arriva il ‘caregiver sharing’, ovvero la badante condivisa o condominiale utile per alleggerire oneri che sempre più spesso gli anziani non possono permettersi.
Questa figura è nata già una decina di anni fa grazie alla collaborazione tra gli anziani che abitano nello stesso stabile, in modo da fornire un’assistenza quotidiana nelle commissioni, fra i diversi condomini che ne hanno necessità.
La prima città ad adottarla è stata Bologna, con un apposito progetto di sharing economy, che ha coinvolto circa 53 condomini della città. Il fine è quello di far sì che il condominio non sia soltanto sinonimo di beghe, assemblee che durano fino a notte fonda per lavori da discutere per i quali i fondi sono pochi oppure per servizi di portierato e pulizie che funzionano a scartamento ridotto. Ma un’opportunità per trovare intese comuni dettate da esigenze di risparmio.
L’idea è che ogni condomino anziano paghi le ore alla badante pro-quota, per cui a fine mese il costo è sicuramente più basso rispetto ad un impegno a tempo pieno, proprio perché la giornata lavorativa della badante condominiale è costituita da tanti contratti part-time quante sono le persone per cui lavora. Un enorme vantaggio anche per questa figura di lavoratrice che ottimizza il proprio tempo evitando spostamenti, svolgendo le stesse mansioni per più persone contemporaneamente. Oltre al vantaggio di avere una figura in reperibilità costante durante la giornata poiché sempre presente nel condominio.
A Milano la sperimentazione del “Progetto badante” è partita quattro anni fa e il comune ha totalmente sovvenzionato con proprie risorse l’iniziativa (100mila euro), anche per gli anni successivi, facendo riferimento, inizialmente, ad otto quartieri di edilizia popolare della città (Quarto Oggiaro, Niguarda, Città Studi e Piazzale Dateo, Corvetto e Taliedo, Stadera e Gratosoglio e Barona) con l’istituzione di uno sportello comunale (CuraMI) per la ricerca di tali figure di badanti condivise (di diverse nazionalità), provvedendo alla loro formazione. Come, tra l’altro, è avvenuto anche nella città di Parma con un progetto Staff (Sportello territoriale assistenti familiari e formazione) dove sono state formate nel 2017 circa centoventi badanti condominiali, al fine di segnalare situazioni di fragilità e di abbandono degli anziani, destinati diversamente a restare nell’ombra.
Per la realizzazione del progetto di badante condivisa l’iniziativa ricade su due tipi di soggetti, pubblico o privato, con tre diverse procedure possibili: nel caso di un soggetto privato (condominio) si fa carico di proporre e organizzare il servizio gestendone gli aspetti contrattuali e amministrativi. Nel caso di gestione da parte di un ente pubblico è lo stesso Comune a fornire un servizio di assistenza a famiglie già note ai servizi sociali, nella logica di favorire la socialità e la condivisione. La badante condivisa viene pagata dall’ente pubblico o da finanziatori del progetto. Nel terzo caso infine, l’ente pubblico promuove il servizio all’intera cittadinanza, con l’obiettivo di attivare un mercato di servizi condivisi e ridurre i costi e favorire lo scambio e relazioni. L’assunzione della badante non è disciplinata da alcun condomino in particolare, in caso contrario si instaurerebbe un vero e proprio rapporto di lavoro domestico: l’assunzione può avvenire a nome del condominio, oppure dell’amministratore o dello studio o società di amministrazione condominiale.
L’idea di assistenza condivisa non si ferma alla badante condominiale, ma si estende anche ad altre figure professionali come la babysitter o l’Operatore socio sanitario (Oss), andando sempre di più verso un welfare condiviso e sostenibile. La badante condivisa è da considerarsi un importante progetto con l’obiettivo di favorire la socializzazione di persone anziane e sole ad un prezzo sostenibile.
Eh sì, la crisi aguzza l’ingegno. Qualcuno le chiama «nuove forme di welfare» o di «micro-welfare» ma, in concreto, significa cercare risposte a bisogni crescenti avendo risorse sempre più scarse.
A.B.
Quante sono le badanti in Italia
Sono quasi 860 mila, il 30% nel Nord Ovest, 28% al Centro, 20% nel Nord Est, 12% al Sud e solo il 9,6% nelle Isole. Settantuno su 100 sono straniere, l’88% è donna e l’Inps aggiunge un altro dato significativo: in questo settore sta crescendo il numero delle italiane mentre sempre meno sono le straniere. Inoltre è un mestiere più remunerato rispetto a quello della colf, fino a dieci volte più. Anche in questo le donne sono privilegiate nell’avere stipendi più alti di quelli degli uomini.
Nel 2018 il numero di badanti, rispetto all’anno precedente, registra un lieve incremento (+1,5%), più elevato per i lavoratori di nazionalità italiana (+9,1%)
Da dove arrivano
Con riferimento ai dati 2018 l’Europa dell’Est continua ad essere la zona geografica da cui proviene la maggior parte dei lavoratori domestici: 362.294, pari al 42,2%.
La loro età
Sempre nel 2018 la classe d’eta’ “50-54 anni” è quella con la maggior frequenza tra i lavoratori domestici, con un peso pari al 17,5% del totale, mentre il 15,9% ha un’età pari o superiore ai 60 anni e solo il 2,0% ha un’eta’ inferiore ai 25 anni. Complessivamente nel 2018 i lavoratori domestici sotto i 45 anni rappresentano il 34,4% del totale, dieci anni fa i domestici sotto i 45 anni erano il 61,4%.
Quanto lavorano
Nell’anno 2018 la classe modale dell’orario medio settimanale è “25-29 ore”, sia per badante sia per colf, e a livello complessivo pesa per il 28,5%. Tuttavia si osserva che ben il 53,7% dei lavoratori con tipologia di rapporto badante, proprio per la caratteristica del lavoro che svolge, si concentra nelle classi che seguono la classe modale e quindi lavora mediamente più di 30 ore a settimana; mentre il 51,7% dei lavoratori con tipologia di rapporto colf si concentra nelle classi che precedono la classe modale e quindi lavora mediamente meno di 25 ore a settimana. Dall’andamento dei contributi, sembra che quasi la metà dei lavoratori domestici abbiano almeno un lavoro durante tutto l’anno, seppure non coprendo interamente le ore lavorabili nella settimana.
Quanto guadagnano
Secondo l’Inps, la disparità di genere in questo caso c’è ed è a favore delle donne. Numeri alla mano, comunque, la maggior parte delle badanti guadagna dai 13.000 euro in poi l’anno, contro i 1.000-2.000 euro delle colf.
Sono tutti in regola?
Secondo una ricerca condotta dall’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico – DOMINA, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa che incrocia i dati dell’associazione con quelli di Inps e Istat, a fine 2017 i lavoratori domestici regolarmente assunti dalle famiglie italiane sono circa 865 mila, su due milioni in totale, con una lieve prevalenza di colf (54,4%) rispetto alle badanti (45,6%).
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