Al termine di 94’, tutti ma proprio tutti contrassegnati da rara intensità, la prestigiosa quanto “robusta” (17 kg. di peso) dell’Europa League prende il volo per Londra, sponda Chelsea. La finale di Amsterdam, oltre che equilibrata e ricca di emozioni, è stata anche godibile sul piano tecnico (evento raro per una grande finale dove a farla da padrone è spesso la paura di perdere) e, oltre a rimpinguare ulteriormente la bacheca del club inglese (ora a quota 1 Champions League, 2 Coppe delle Coppe, 1 Supercoppa Europea e l’Europa League di ieri), ha aggiunto un’altra dolorosissima stazione alla via crucis degli “encarnados” di Lisbona: 51 gli anni di astinenza da successi internazionali del Benfica che resta fermo al back to back nell’allora Coppa dei Campioni del 1961 e 1962 quando in campo seminava il terrore tra le difese avversarie Eusebio, ieri malconcio e alla fine anche malinconico ospite della tribuna d’onore al fianco di Platini. Vince ancora la maledizione di Bela Guttmann, tecnico dell’ultimo Benfica medagliato in Europa: se ne andò in malo modo lanciando il celebre anatema “non vincerete più una finale per io prossimi 100 anni!” Con questa sono ormai otto le grandi finali perse dai portoghesi (prima di ieri, in Coppa dei Campioni nel ’63 con il Milan, nel ’65 con l’Inter, nel ’68 con il Manchester United, nel 1988 con il PSV Eindhoven, nel 1990 ancora con il Milan e a nulla servirono le preghiere di Eusebio sulla tomba del vecchio allenatore, nella Coppa Intercontinentale del 1962 con il Santos di Pelè, nella Coppa Uefa del 1983 con l’Anderlecht). Una maledizione cui se ne sta aggiungendo un’altra, se possibile altrettanto beffarda: quella della zona Cesarini. Sabato, in campionato, il Benfica si è arreso, in rimonta, 2-1 sul campo del Porto nel big match della penultima di campionato e ora i “portisti” hanno scavalcato di un solo punticino a 90 minuti dalla fine dei giochi proprio gli odiati rivali della capitale che avevano condotto in vetta dalla prima giornata. E il gol decisivo dei biancoazzurri era arrivato, con Kelvin, proprio al 91’. Ieri, il bis, ancor più amaro. E non solo perché incassato addirittura al 93’. Il Benfica, infatti, ha giocato complessivamente meglio dei rivali, dominandoli nel primo tempo dove, a fronte di due isolate conclusioni dalla lunga distanza dei blues, costruiva almeno tre nitide palle gol che Cardozo, Rodrigo e Gaitàn non sfruttavano. Poi, sempre in controllo del gioco anche nella ripresa, fino al primo colpo di scena, arrivato nel modo più inatteso: da rinvio lunghissimo di Cech su cui dirmivano i centrali portoghesi e a Torres non rimaneva altro che controllare e dribblare Artur per l’1-0. A questo punto, il Chelsea si scrollava di dosso paure e tensioni che lo avevano bloccato a lungo anche nella sfida dell’anno scorso con il Beyern e cominciava a giocare secondo le sue possibilità. Il Benfica, però, non rimaneva a guardare e tentava una sia pur disordinata reazione che culminava nel meritato pari, giunto dal dischetto a causa di un braccio tento plateale quanto poco volontario di Azpilicueta. Cardozo, dagli undici metri, trovava pareggio e crampi. E non era il solo: di lì a poco, almeno altri due giocatori in maglia rossa avrebbero subito la stessa sorte con Garay costretto anche a lasciare il campo. Benfica stanco ma ancora in grado di giocare, Chelsea più fresco e con più carburante. E con giocatori molto più incisivi quando possono vedere la porta. Lampard ne offre un saggio con un missile da distanza siderale che va scuotere la traversa di un Artur battuto. I supplementari sono ormai alle viste e i pensieri vanno tutti alle condizioni atletiche dei giocatori portoghesi e al fatto che Jorge Jesus sia stato costretto a bruciarsi tutti e tre i cambi. Si profilano trenta minuti di sofferenza contro un avversario molto più tonico che guadagna sempre più campo. Scenari destinati a rimanere nei pii desideri dei tanti tifosi venuti da Lisbona perché al 93’, da corner, si alzava imperioso Ivanovic che, in controtempo, colpiva di testa originando una parabola lenta ma velenosa: tutti fermi a guardare e palla che si abbassava proprio sotto il sette. Per la gioia di Rafa Benitez che, dopo tante contestazioni subite sin dal suo arrivo al posto di Di Matteo, lascerà la panchina dei blues (a Mourinho?). Le squadre allenate dal tecnico spagnolo non ruberanno l’occhio, ma i trofei li alzano, eccome. Lo sanno a Valencia, Liverpool, Milano (sponda Inter) e ora anche nel cuore della city. Potrebbero constatarlo anche a Napoli se, come appare ormai certo, Mazzarri dovesse lasciare.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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