Questi tifosi brasiliani il lutto l'hanno già elaborato
La partita più inutile e beffarda del calendario internazionale, quella che nessuno vorrebbe giocare è andata all’Olanda, dimostratasi la meno delusa tra le due contendenti. Per il Brasile un’altra sonora batosta, uno 0-3 che poco aggiunge alla Waterloo del “Mineiraço”. Per carità, una gara che avrebbe potuto avere una storia completamente diversa se non fosse stata scelta una terna arbitrale assolutamente improponibile, gradito omaggio di Blatter alle confederazioni minori (i voti, si sa, servono a chi si candida e, incredibile dictu, lo svizzzero ci proverà ancora), soprattutto quella africana (il fischietto era l’algerino Halmoudi, ma non meno danni, anzi, hanno fatto i guardalinee Redouane Achik, marocchino, e l’altro algerino, Abdelhak Etchiali), camuffato da pretese esigenze di globalizzazione. Ma rimane l’ennesima figuraccia di una Seleçao che, già modesta di suo, in vista del traguardo finale, si è completamente sciolta come neve al sole. Sopraffatta da una ribalta troppo grande e da un carico di aspettative che solo un paese ciecamente innamorato dei colori verdeoro poteva riporre in questo manipolo di onesti corridori. E stavolta c’era pure il tanto rimpianto Thiago Silva. Anche lui è finito inghiottito dal grigiore generale. C’era anche l’altro grande assente della sfida con la Germania, Neymar, rimesso in piedi a tempi record ma non in condizione di rischiare la schiena, in tenuta da gioco ma ovviamente non in campo. Un totem esibito per rinfrancare una truppa allo sbando e per rincuorare la torcida del Manè Garrincha. E il pubblico brasiliano aveva risposto, comunque, con un affetto parente prossimo di umana pietas nei confronti della squadra di Scolari: applausi nettamente prevalenti sui fischi e per tutti, tranne che per il vituperato Fred e per il Gene Hackman della panchina e consueta partecipazione all’inno nazionale. Dopo il terzo gol olandese, anche quest’ennesima apertura di credito lasciava il posto ad una civilissima contestazione sonora. La pazienza era finita. Un pianto senza fine, questo Brasile, sarebbe stato il titolo più appropriato. Ma stavolta di lacrime, sugli spalti, se ne sono viste davvero poche. E anche i volti esterrefatti del Mineirao erano un ricordo. A grande bluff impietosamente smascherato, l’emozione prevalente era commiserazione mista alla rabbia di chi sente preso in giro, ha pagato il prezzo del biglietto per regalarsi un sogno e ha finito per assistere ad un incubo.
Rabbia e delusione: ma stavolta niente lacrime
In un tale contesto, l’Olanda meno spumeggiante di sempre ma comunque protagonista di un Mondiale che nessuno si attendeva neppure nella terra dei tulipani, era la squadra più serena. Nonostante la defezione di un uomo cardine come Sneijder, infortunatosi nell’ultima sgambatura prima del fischio d’inizio. Con un’autostrada spianata dall’ennesima follia difensiva del Brasile con David Luiz, giocatore tanto vistoso quanto modesto difensore, che lasciava una prateria incustodita alla mercè di Van Persie, liberissimo di azionare lo sprint di Robben. Un invito a nozze. Il fuoriclasse del Bayern veniva abbattuto da Thiago Silva, ultimo uomo e fuori area. Sarebbe stato calcio di punizione e cartellino rosso. La comica terna arbitrale decretava, invece, rigore e giallo. Due errori in uno. Un piccolo capolavoro di inettitudine. Il Brasile reagiva nell’unico modo che conosce: con il cuore in mano, ma con raziocinio, fantasia e lucidità altrove. Terreno fertile per il contropiede olandese che produce il raddoppio di Blind, talmente libero (complice l’ennesimo disastro di David Luiz che allontana corto e non s’intende con Julio Cesar, messo fuori tempo) da poter metter giù la palla con il sinistro per poi saettare a rete con il suo piede meno nobile. Nota a margine: l’azione nasce da una volata di Wijnaldum che crossa in mezzo. Peccato che il centrocampista del Psv Eindhoven fosse in off side. Non semplicissimo da vedere ma l’impressione è che questa terna arbitrale non c’azzeccherebbe neppure lanciando la monetina in aria.
La rete brasiliana si gonfia altre tre volte: qui il 2-0 di Blind
Jo, davanti, non era meglio di Fred, in mezzo Ramires non era molto meglio di Hulk e, come esterno basso a sinistra, Maxwell non aveva le fiammate di Marcelo ma neppure gli svarioni e le amnesie del “capellone” del Real Madrid. Nella ripresa trovava spazio anche Hernanes ma si è anche capito, almeno in parte, perchè Scolari non lo vedeva: ancor più lento del solito, in difficoltà a trovare la posizione ideale, poco incline anche ad assumersi la responsabilità di andare a concludere in proprio. Nell’Olanda, altra prestazione da baluardo insuperabile per Ron Vlaar e non stupisce affatto che anche alcuni club italiani gli abbiano messo gli occhi addosso (si parla di un forte interessamento della Roma) e molto bene, gol a parte, anche il “figlio d’arte”, Daley Blind (il padre, Danny, ora nello staff di Van Gaal, è stato per oltre una decade il terzino dell’Ajax, ma sull’altra fascia, quella destra). Da rivedere la giovane punta Depay, mai in campo in semifinale e nella “finalina”. Interessante potrebbe essere il giovanissimo Clasie, centrocampista in un Feyenoord molto rappresentato nella rosa attuale degli oranje. Dopo l’ennesimo rigore reclamato (giustamente) dai padroni di casa per un pestone di Blind su un Oscar tornato vitale solo all’ultimo atto, ma con così poca personalità da non andare neppure a protestare con la dovuta veemenza con l’arbitro algerino. Il terzo gol, sotto misura, di Wijnaldum in pieno recupero faceva partire i titoli di coda e la salva di fischi di una torcida esasperata.
Cillessen: una serata di tutto riposo per lui
L’Olanda non ha entusiasmato e, tutto sommato, ha fatto meno dell’Argentina per meritare l’accesso alla finale al Maracanà, ma chiude con un più che onorevole terzo posto che conferma il risultato di assoluta eccellenza di quattro anni fa, in Sudafrica, dove si arrese solo alle “furie rosse” in finale e con i rigori dietro l’angolo. Inoltre, per la prima volta, ha chiuso un Mondiale imbattuta.
Per il Brasile, oltre ad una sequela impressionante di primati negativi legati principalmente all’1-7 con i tedeschi ma che questo 0-3 rende ancor più avvilenti, un intero movimento da ripensare e rifondare. Possibilmente, senza le ventilate ingerenze politiche.
Sulle ali dell’entusiasmo
Gli olandesi con le medaglie al collo
Scolari ha chiesto di rimanere e Pelè avrebbe persino perorato la sua causa. Fantascienza per un tecnico che ha trascorso un intero mese riproponendo il medesimo modulo nel tentativo di ritrovare, come d’incanto, lo spirito della finale della Confederations dell’anno scorso con la Spagna, materializzatosi solo nel primo tempo con la Colombia. E’ già iniziato il totoallenatore per la Seleçao di domani. Tite, il tecnico che ha portato il Corinthians sul tetto del mondo nel dicembre 2012 superando in Giappone il Chelsea, è il nome che va per la maggiore. Ma sta prendendo quota il partito di chi vorrebbe la soluzione “eretica”: un Ct non brasiliano (tesi avvalorata dalle voci, comunque smentite dalla Cbf, di un contatto con Mourinho). Mai accaduto prima in un paese dove l’orgoglio nazionale ha sempre imposto il ripudio di tutto ciò che non portasse il timbro dell’autoctono “jogo bonito”. Ma il semplice fatto che si stia prendendo in considerazione una simile ipotesi va salutata come un’onesta presa di coscienza dello stato di malattia in cui versa il “Paìs do fùtebol”. Una rifondazione profonda che non risparmierà nessuno, a partire dai vertici della Cbf. Una situazione che noi italiani conosciamo piuttosto da vicino.
Luiz Felipe Scolari, il principale imputato del “fracaço” verdeoro
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