Si può riassumere così il turno di Champions delle nostre rappresentanti appena andato in archivio. Una Juve ottimamente disposta da Conte (molto bene l’esperimento della difesa a tre) ha tenuto magnificamente su un campo che non è un campo qualsiasi, il Santiago Bernabeu, e contro un avversario che non è uno qualsiasi, il Real. I bianconeri, reduci dai quindici minuti di follia collettiva di Firenze, hanno approcciato bene la gara, mostrando un’organizzazione tattica di molto superiore a quella “merengue”, costringendo Ancelotti ad aggrapparsi alle sue, pur stellari, individualità. Ed è stato proprio grazie al più forte dei suoi solisti, Cristiano Ronaldo, oltre che ad uno svarione arbitrale che la “Casa blanca” ha potuto conseguire un prezioso 2-1. Juve convincente anche sul piano del carattere, costretta com’è stata, a rincorre già dal 4’, complice un lampo di grande classe firmato da un Ronaldo in stato di grazia, autore dell’1-0 su perfetta verticalizzazione di Di Maria e poi spietato dagli 11 metri per il secondo e definitivo vantaggio dei padroni di casa. Fanno, così, 216 centri in 211 apparizioni con la camiseta blanca, cifre da plurimi palloni d’oro non vi fosse un altro fenomeno in Catalogna. Molto vitale e spesso pericoloso Tevez, pur costretto agli straordinari largo a sinistra per far posto centralmente a un Llorente impegnato a sedare sul nascere i crescenti mugugni dell’ambiente bianconero circa la bontà del suo acquisto e l’opportunità di cederlo all’Arsenal. Diciamolo chiaramente: il biondo ex Athletic Bilbao non è e non sarà mai un top player, ma un attaccante che sa vedere la porta, quello sì. Prova ne è la rete da rapace d’area per il momentaneo 1-1 (ottima, nell’occasione, le sponda aerea di Pogba che costringeva Casillas ad una goffa respinta proprio sui piedi di Fernando). A decidere le sorti del confronto, relativamente ai primi 45 minuti, il rigore causato da Chiellini per una cintura prolungata in area, come tante se ne vedono domenicalmente nelle nostre aree, ma dimentico che in Europa il metro è notoriamente molto meno indulgente su simili situazioni. Poi, nel secondo tempo, l’episodio che cristallizza, di fatto, il punteggio: l’espulsione dello stesso centrale per un braccio alto a interrompere la corsa del solito Ronaldo. Un rosso assolutamente spropositato quello sventolato dal tedesco Grafe sotto il nasone del difensore. Di lì in poi, un Real incapace di incrementare, anche per via di una povertà di idee cui Ancelotti dovrà sbrigarsi a porre rimedio, visto il palato molto raffinato di un pubblico che già comincia a rimpiangere il tanto bistrattato Mou ( e gli applausi scroscianti all’uscita di Pirlo confermano quanto il bel gioco sia importante per conquistare i favori del Bernabeu) e una Juve molto combattiva ma che non poteva sbilanciarsi più di troppo. Un 2-1 ricco di rimpianti quanto foriero di una rinnovata consapevolezza sulla bontà del proprio impianto di gioco per una Juve che ha dimostrato di non essere affatto inferiore ai dirimpettai iberici. Il paradosso è che, alla luce del contemporaneo successo del Galatasaray sul Copenaghen, ora per qualificarsi servirà almeno un’impresa. Probabilmente, nel confronto diretto per la seconda piazza con gli stessi turchi ad Istanbul. Tutto questo per aver raccolto la miseria di due punticini dopo tre gare ottimamente giocate.
Martedì, invece, il Milan aveva imposto un pari quasi insperato alla vigilia al favoritissimo Barça di Messi (comunque a segno e per la prima volta su azione a S.Siro). Una gara che, come da copione, i catalani hanno dominato per larghi tratti sotto il profilo del possesso palla ma dove le occasioni migliori le hanno avute proprio i rossoneri, mattatori assoluti nei primi 20’ e autori di una prova tatticamente perfetta impreziosita dalle giocate d’autore del rientrante Kakà (esordio stagionale dal primo minuto per il brasiliano). E’ stato poi Robinho, autore del momentaneo vantaggio su assist pregevole dell’ispirato connazionale a mancare l’occasione del clamoroso 2-1 a inizio ripresa. Neymar quasi del tutto cancellato. L’impressione, comunque, è che rispetto al fantastico duello inscenato dalle due nella scorsa primavera, entrambe le squadre siano più deboli.
Il Napoli, infine, ha rispettato, a Marsiglia, un pronostico scontato solo all’apparenza visto che era da verificare le capacità di reazione del gruppo di Benitez alla sconfitta dell’Olimpico. Un 2-1 finale che non fotografa a pieno la reale differenza di valori in campo. I brividi maggiori li hanno vissuti i tifosi napoletani sugli spalti prima e durante il match del Vèlodrome, data l’accoglienza non proprio ospitale loro riservata dai marsigliesi. Si spera che la Uefa, piuttosto solerte a sanzionare cori offensivi, intervenga. Il dubbio che ciò accada, in un momento connotato da un notevole gradiente di ipocrisia e demagogia, è, però, latente. Quanto alla qualificazione, il contemporaneo successo esterno del Borussia a Londra ha prodotto una classifica con le tre favorite tutte appaiate a quota 6. Decisivo, verosimilmente, l’ultimo match contro l’Arsenal. Con il vantaggio del S.Paolo a spingere.
Un’ultima annotazione la merita, senz’altro, la quaterna (è solo la 10° giocatore che riesce nell’impresa nella storia della Champions) di Ibra a Bruxelles nel 5-0 con cui il suo Psg di “italiani” (di Cavani l’altra rete) ha atomizzato l’Anderlecht. In particolare, una rete di tacco e una con un bolide ad oltre 120 km/h da fuori rimarranno a popolare per anni le sigle delle trasmissioni dedicate al torneo. Il suo annunciato duello da dentro/fuori con CR7 nello spareggio mondiale Portogallo-Svezia promette già scintille e piange il cuore sapere che, comunque vada, uno dei due fuoriclasse non andrà in Brasile. Tutti coloro che sostengono che l’attaccante svedese non sia determinante in Europa sono, ad ogni modo, serviti.
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