Possiamo per un momento accantonare l’argomento Coronavirus che più che contagioso per gli esseri umani è diventato infestate per stampa tv radio e social tutti?
Il 29 febbraio è la Giornata mondiale delle Malattie Rare. Perché una patologia sia definita ‘rara’ deve interessare 5 individui ogni 10 mila persone. Potrebbe sembrare ancora un argomento poco interessante se delle malattie rare conosciute e diagnosticate non sapessimo che il numero che oscilla tra le 7.000 e le 8.000. E che è una cifra passibile di modifiche, che cresce con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica, e per questo deve farci riflettere.
“Rari”, quindi, non è sinonimo di “pochi” neanche nel numero di casi. Sono almeno 300 milioni nel mondo le persone interessate da malattia rara, praticamente il terzo continente per popolazione dopo Cina e India.
In base ai dati coordinati dal Registro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola.
Non dobbiamo poi dimenticare un fattore molto importante, che è la malattia diagnosticata a essere rara, non il paziente che ne viene colpito. E, se ne risente in prima persona, non può escludere che a soffrirne siano anche le persone che gli sono più vicine, i suoi familiari.
Tredicesima Giornata mondiale delle malattie rare, nel ‘giorno più raro di tutti’, ” parliamone ma facciamolo sempre, perché si tratta di cittadini che hanno bisogno di trovare soluzioni”. E’ l’appello che lancia oggi Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Soprattutto perché oltre la metà è dei casi è rappresentata da bambini: “Molti di più dei casi di nuovo coronavirus”.
Il problema non è tanto pensare che ci siano delle malattie rare per le quali trovare una cura, ma capire che molte di queste non hanno nemmeno un nome. Racconta a questo proposito Scaccabarozzi: “Mi colpì qualche tempo fa sentire un papà di un piccolo malato dire a un altro: io sono più fortunato perché la patologia di mio figlio possiede un nome”. Ma pian piano che la conoscenza soprattutto sulla genetica è andata avanti, la ricerca ha cominciato a dare i suoi risultati. Ma bisogna sempre considerare che “per sviluppare un farmaco ci vogliono 10 anni, quindi se un prodotto arriva oggi si è iniziato a studiarlo nel 2010“.
L’ostacolo alla ricerca è sempre stata la difficoltà nella diagnosi, tanto più precoce, delle malattie rare. Oggi abbiamo uno strumento molto importante che aiuta in questa direzione: lo screening neonatale esteso (SNE) per tutti i nuovi nati. Anche se solo 80% delle malattie rare ha cause genetiche. Il restante 20% è il risultato di fattori associati all’alimentazione, all’ambiente, a infezioni o a reazioni immunitarie.
Nell’agosto 2016 è stata approvata la Legge 167 che prevede che ogni nuovo nato in Italia debba essere sottoposto gratuitamente a poche ore dalla nascita allo Screening Neonatale Esteso (SNE). E’ un test che permette di identificare precocemente circa 40 patologie genetiche metaboliche, difficili da diagnosticare ma facilmente individuabili grazie allo SNE. Sono malattie per le quali esistono trattamenti e cure che se applicate nei primi giorni di vita del bambino, prima che si manifestino i sintomi, possono migliorare in modo molto significativo la sua qualità di vita o impedirne la morte.
Ad oggi si conoscono circa 800 malattie genetiche metaboliche. Se nel 2016 il tempo medio per arrivare ad una diagnosi era di ben 7 anni, con conseguenze pesantissime, oggi per 40 di esse la diagnosi sarà immediata. E se ora è possibile testare ‘solo’ 40 patologie genetiche, prima del 2016 ne venivano non più di tre: la fenilchetonuria, l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica. Erano pochi i Centri Nascita in cui era possibile sottoporre il bimbo anche allo screening esteso: nel 2015 ha fatto lo SNE per più malattie metaboliche solo un neonato su due e per un numero di patologie diverse da zona a zona. Una inaccettabile disparità, con gravissime conseguenze per i bimbi malati: la differenza tra la vita e la morte, tra una buona qualità di vita e la disabilità.
Tutte le Regioni italiane si sono adeguate alla normativa o lo stanno facendo. Nel Lazio, il Policlinico Umberto I è da sempre il punto di riferimento per lo SNE. “Anche per qualche realtà extra regionale – assicura il direttore generale dell’azienda ospedaliero-universitaria Vincenzo Panella – Noi oggi abbiamo acquisito nel tempo cognizioni, esperienze e tecnologie. Un know-how per fare lo screening nelle modalità e tempi che consente una rapidità nell’individuazione del caso e l’approfondimento diagnostico quando la risposta è positiva che, per quanto ne possa sapere io, non ha pari nel mondo degli screening neonatali”. Ciò che occorre adesso, anche in questo settore come in tanti altri della medicina, è fare squadra, “creare una rete ancora più ampia dell singola struttura”. Panella spiega che “la malattia rara è quella che ha la maggiore necessità di essere multidisciplinare, interdisciplinare, trasversale. Ha necessità delle équipe, del sostegno, della ricerca . Di qualsiasi patologia rara si parli non c’è possibilità che la risolva un solo specialista. Il tema è così complesso che addirittura non basta all’interno di un solo ospedale l’integrazione. Bisogna creare una rete ancora più ampia della singola struttura. E’ proprio quello che noi stiamo facendo: il modo di funzionare del sistema sanitario deve evolvere dietro l’evoluzione dei problemi”.
A.B.
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