Ci speravano, Conte e i suoi, ma hanno smesso ben presto di crederci. Il sogno di rimontare la corazzata-Bayern è durato non più di un’oretta di gioco, poi i tedeschi hanno messo le cose in chiaro e così al 2-0 dell’andata è seguita un’altra dimostrazione di evidente superiorità che ha portato alla replica nello Juventus Stadium. Un altro 2-0, stavolta meno netto, contro una Juve molto più convinta, convincente e combattiva ma ancora lontana dal livello di chi, in Champions, ha già raggiunto l’atto conclusivo per due volte negli ultimi tre anni. Una prova di forza, quella fornita dai bavaresi, forse ancora più impressionante di quella dell’Allianz Arena proprio in considerazione della maggior opposizione bianconera rispetto ad una settimana fa. Sì, perché la Juve, a Torino, ci ha provato e ha giocato anche bene. Non abbastanza da sbloccare il risultato e instillare quantomeno il dubbio nella testa degli uomini di Heynckes. Però ci ha provato la Juve. All’inizio, addirittura, i bianconeri sembravano il Bayern dell’andata, per intensità e aggressività. Mancava, però, la capacità di trovare il varco giusto per arrivare alla conclusione con la dovuta continuità. Tanto che non si ricordano grandi parate di Neuer, salvo una, piuttosto semplice, su tiro telefonato di Vucinic nei primi istanti di gara e una più complicata su violenta punizione di Pirlo. Ma nel primo tempo la Juve c’era eccome e, attorno alla mezz’ora, qualche piccolo imbarazzo al Bayern lo creava pure, rendendo difficili anche le ripartenze ai tedeschi. Che hanno giocato proprio come ci si aspettava e come volevano. Partita attenta, sempre in controllo. Ma costretti nella propria metà campo dalle insistite folate bianconere, guidate dall’estro di un Vucinic in serata, ben coadiuvato da Pogba e Padoin, autore di una prima frazione a livelli sconosciuti per il pubblico torinese. Caleranno, poi, entrambi, nella ripresa. Ma non saranno i soli. Dei freschi campioni di Germania (titolo appena conquistato per la ventitreesima volta e con il record di sei turni d’anticipo sulla chiusura della Bundesliga), nei primi 45 minuti, si ricorda solo un’altra sventola da fuori del solito Alaba su cui, però, il “pensionato di lusso” decideva che non era ancora giunto il momento del ritiro del TFR. Qualche grattacapo lo creavano sulle fasce Ribèry e Robben e una grande impressione la suscitava il costante lavoro ai fianchi dell’ariete Mandzukic, protagonista di grandi duelli con Chiellini ( da uno di questi scaturirà l’episodio decisivo). Nella Juve, si segnalava un Pirlo non ancora ai suoi migliori livelli, un po’ troppo flemmatico nel portare palla, ma comunque presente, a differenza della scena muta vista in Germania. Marchisio, invece, ancora male a conferma di un periodo di scarsa condizione del centrocampista. Le due occasioni migliori, la Juve le aveva intorno alla mezz’ora con un pallone caparbiamente sradicato dai piedi altrui da Padoin su cui Vucinic ricamava per Pogba il cui assist non trovava di poco il felice impatto di Asamoah e, pochi minuti dopo, con una bella girata in area di Quagliarella su cui tentava inutilmente la correzione volante Bonucci. Anche la ripresa si apriva con una Juve a tutta: subito, al fischio d’inizio, Vucinic si produceva in una percussione da rugbista che guadagnava un’interessante punizione alla causa bianconera, ma l’esecuzione di Pirlo veniva smorzata dalle tante maglie rosse. Poi, una bella girata a lato di Quagliarella e un’incursione di Chiellini che, disturbato, perdeva passo e pallone. Poi, solo Bayern. I prodromi di quel che si sarebbe visto c’erano già stati tutti nella folgore scagliata da Robben sul palo alla destra di un Buffon battuto. La Juve non ne aveva più e il Bayern avanzava il baricentro sino a trovare la punizione per fallo di Chiellini su Mandzukic: Javi Matinez costringeva il Gigi nazionale a una respinta corta su cui si avventava come un falco lo stesso M andzukic per l’1-0 tagliagambe. Qualificazione in ghiaccio ma Bayern non pago e sempre alla ricerca del raddoppio che arrivava all’ultimo minuto con Pizarro e solo perché prima un Robben troppo egoista e impreciso sprecava a tu per tu con il portierone della nazionale. Alla fine, i commenti di Conte e soci erano tutti all’insegna del “Ce l’abbiamo messa tutta. Ma loro si sono dimostrati più forti. Sì, è passata la squadra migliore. Tanto di cappello al Bayern. Ha giocatori non solo molto fisici ma anche tecnici. Hai voglia a palare di pressing sui loro portatori di palla. Riuscivano sempre a venirne fuori grazie al loro palleggio e alla loro tecnica. Giocatori anche con notevole esperienza a questi livelli. Noi abbiamo iniziato un ciclo da poco e mai, due anni fa, ci saremmo aspettati di ritrovarci in un quarto di finale di Champions contro simili avversari. Sapevamo che erano forti. Dopo averli affrontati di persona, possiamo dire che sono ancora più forti di quanto sembrino.” Sì, è passata la squadra più forte, senza alcun dubbio. E, visto il quadro delle semifinaliste, ciò non deve sorprendere più di tanto: sono rimaste due tedesche e due spagnole. Liga e Bundesliga uber alles. Manca la Premiership, ma il calcio inglese ha trovato modo di rifarsi in Europa League dove ha piazzato tre rappresentanti nei quarti. E il nostro calcio, al momento aggrappato al complicatissimo tentativo di rimonta della Lazio con il Fenerbahçe, è ancora lontano. Sotto tutti i punti di vista: tattico, tecnico, societario. La Juve si è confermata squadra solida e tosta, senz’altro la più “europea” tra le formazioni dello Stivale. Quanto basta per dominare incontrastata all’interno dei patri confini da due stagioni, sufficiente per arrivare a calcare certe ribalte, ancora lontana, però, dal potervi recitare un ruolo da protagonista.
Contemporaneamente, al Camp Nou andava in scena l’atteso retour match tra Barça e Psg, autori di un pirotecnico 2-2 all’andata. Come avevamo vaticinato, senza Messi i blaugrana avrebbero rischiato l’osso del collo. Così è stato. Con la “pulce” partita in panchina, gli uomini di Carletto Ancelotti hanno prima tenuto botta (unico grande rischio una punizione a pochi millimetri dall’incrocio di Xavi), poi sono cresciuti, hanno risposto colpo su colpo ( da tento immemore non si ammirava una squadra giocare a viso aperto al Camp Nou), giocato bene, meglio dei rivali, creato, segnato con Pastore su assist di Ibra, alla sua 7° imbeccata vincente, record per questa Champions, sprecato con lo stesso ex palermitano e sempre su assist dell’ex di Juve, Inter, Milan (oltre al Barça). Poi, si è manifesta Sua Maestà la Pulce: è bastato che avviasse le operazioni di riscaldamento per sollevare il boato del Camp Nou. E’ servita la sua presenza per rianimare compagni storditi. E’ stato salvifico il suo magico piedino per avviare l’azione dell’1-1 di Pedro che riportava la qualificazione in Catalogna. Il tutto giocando con una gamba sola. Il Barça resta una magnifica orchestra e Messi un uomo-squadra che ne nobilita il gioco, ma è un dato di fatto che, chiusa l’esperienza-Guardiola, i catalani dipendano sempre più dalla presenza in campo del proprio faro. Le immagini che, però, conserveremo nella memoria rimarranno quelle della sera prima, a Dortmund. Borussia-Malaga 3-2, ma 1-2 fino al 90’. Un concentrato di emozioni, prodezze, errori (e strafalcioni arbitrali). Comunque sia, uno spettacolo irripetibile.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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