“Lanciamo un appello al mondo intero e all’Unione Europea a porre fine alla politiche razziste del ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini” che “in collaborazione con l’incostituzionale consiglio presidenziale” di Fayez al-Serraj sono “la ragione principale dell’accumulo di migranti nella regione occidentale della Libia”.
A parlare è il generale Mohamed al-Manfour, comandante delle forze aeree dell’autoproclamato Esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar, attraverso una nota inviata al portale d’informazione ‘Libyan Address’ all’indomani del raid contro il centro di detenzione di migranti a Tajoura.
Secondo al-Manfour, le politiche di Salvini hanno causato il “rimpatrio forzato di migranti in Libia”, facendoli tornare “ancora una volta nelle mani degli stessi trafficanti di esseri umani da cui sono fuggiti” e ricollocandoli “tra carri armati e depositi di munizioni in quello che altro non è che una palese violazione delle regole basilari dei diritti umani e dei valori umani”.
La situazione della Libia dopo il 2011
La Libia è sprofondata nel caos con l’uccisione di Muammar Gheddafi. La caduta del regime del Rais, alla guida del Paese per 42 anni, segna l’inizio di una guerra civile che ancora oggi non trova requie. All’eliminazione di Gheddafi ha fatto seguito un lungo periodo di anarchia, cui le elezioni del 2014 non hanno posto fine.
Due regioni, due governanti
Al momento, la Tripolitania è in mano al Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, sostenuto dall’Onu, mentre la Cirenaica è controllata dal generale Khalifa Haftar, braccio armato del governo di Abdullah al-Thani, in esilio a Tobruk.
Il primo è un leader senza legittimità internazionale, il secondo un leader senza legittimità interna. Da un lato quindi il premier voluto dalle Nazioni Unite nel gennaio del 2015 con la sigla del Governo di accordo nazionale (Gna), dall’altro l’ufficiale dalla Cirenaica, di fatto il padrone del petrolio, che sogna di riunificare militarmente il Paese e aspetta solo l’accerchiamento di Tripoli e la resa delle milizie ancora fedeli al premier al-Sarraj. Fra loro e le due zone rispettivamente presidiate, una miriade di milizie islamiste e di tribù pronte a schierarsi in base alle convenienze.
Il raid aereo della notte tra il 2 e il 3 luglio
Due notti fa due attacchi aerei al centro di detenzione migranti a Tajoura, vicino a Tripoli, hanno lasciato a terra 53 morti e oltre 130 feriti. L’Onu lo ha definito “crimine di guerra”, mentre il governo di tripoli i Tripoli ha immediatamente fatto ricadere la colpa sulle forze armate del generale Haftar.
Anche per il nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini si è trattato di atto “criminale”: “Sulla Libia spero che la comunità internazionale si svegli, la responsabilità è di Haftar – ha detto il vicepremier – E’ un atto criminale, come sono criminali gli attacchi agli obiettivi civili, aeroporti e ospedali civili. Quindi mi auguro che non ci sia più nessuno, non cito i francesi, che per interesse economico e commerciale sostiene qualcuno che bombarda gli obiettivi civili. Se la comunità internazionale non interviene adesso a sostegno del governo legittimamente riconosciuto dall’Onu mi domando che cosa dobbiamo aspettare”.
Rifiuta invece le accuse mosse dal governo di Tripoli il redivivo Gheddafi, la guida dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), rimandando al mittente la responsabilità della carneficina e sostenendo la tesi che le “milizie” che sostengono il capo del consiglio presidenziale, Fayez al-Serraj, abbiano bombardato il centro con l’obiettivo di addossare poi la colpa all’Lna, con l’obiettivo di ingannare l’opinione pubblica.
A.B.